On Fairy Stories, il saggio dello scrittore J.R.R. Tolkien - contenuto nella raccolta Albero e foglia insieme al racconto La foglia di Niggle -, era in origine una conferenza tenuta nel 1938 al college St. Andrews, dove era stato invitato dal professor Andrew Lang a parlare del genere fantasy. Tuttavia, il suo saggio è molto più di questo: è anche una descrizione dell’estetica dei mondi di finzione, di come funzionano e di cosa provocano nel lettore; e, soprattutto, un testo a difesa del genere, troppo spesso sottovalutato.
La letteratura fantasy è per bambini?
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Qual è l’origine delle fiabe? Tolkien afferma che sono state registrate a partire dal 1750, ma in realtà sono molto antiche e si trovano “universalmente, ovunque ci sia un linguaggio”. Uno degli elementi che le accomuna - e che interessa profondamente Tolkien - è il fatto che il genere fantasy sia considerato una letteratura esclusivamente per bambini e, in questo saggio, si chiede perché questo avvenga, e perché sia avvenuto fin dall’inizio.
Secondo Tolkien, si tratta di “un incidente della nostra storia domestica”: nel mondo moderno le storie di fate sono state relegate ai bambini “principalmente perché gli adulti non le vogliono”.
Nel suo saggio, infatti, asserisce che:
“Di solito si presume che i bambini siano il pubblico naturale o particolarmente adatto alle fiabe. C’è un legame essenziale tra i bambini e le fiabe? C’è forse da fare un commento, se un adulto le legge per sé? Le legge come racconti, cioè, non le studia come curiosità. Agli adulti è consentito raccogliere e studiare qualsiasi cosa, anche vecchi programmi teatrali o buste di carta.”
Osserva come gli adulti leggano le fiabe ai bambini perché non pensano alle persone adulte come a qualcuno a cui è permesso leggerle. Tolkien si chiede perché non possa leggere le storie solo per il gusto di godersele, e non per studiarle; agli adulti è permesso fare qualsiasi cosa, purché non si divertano a farlo - i “vecchi programmi teatrali” o le “buste di carta” di cui parla.
Perché questo accade? Perché dovrebbero piacere ai bambini più che agli adulti? La ragione è semplicemente storica: la storia della nostra cultura ha fatto sì che queste narrazioni che ci portano in un altro mondo venissero relegate ai bambini, perché gli adulti possono leggere solo storie realistiche, non storie di fantasia, le quali devono essere ambientate nella nostra dimensione.
Di fatto, non c’è una ragione essenziale per cui i bambini dovrebbero apprezzarle più degli adulti, ma, poiché gli adulti hanno potere sui bambini, hanno scelto per loro e riservato loro le favole.
Secondo Tolkien, i bambini non sono il pubblico privilegiato delle fiabe: si tratta di un mero incidente storico, frutto di scelte culturali:
“I bambini sono capaci, naturalmente, di credere alla letteratura, quando l’arte del narratore è abbastanza buona da produrla. Questo stato mentale è stato chiamato “sospensione volontaria dell’incredulità”. Ma questa non mi sembra una buona descrizione di ciò che accade.”
I bambini sono in grado di credere a quegli eventi letterari quando il narratore è abbastanza capace da produrre questa illusione estetica; ma quello che viene spesso chiamato “sospensione volontaria dell’incredulità” non è, per Tolkien, il modo corretto di descriverlo: La “sospensione volontaria dell’incredulità” nella percezione dell’arte e della letteratura da parte del pubblico è uno degli elementi chiave del lavoro critico di Samuel Taylor Coleridge. L’illusione poetica
“si regge sulla volontà del pubblico di credere per permettergli di avere una piena esperienza di ciò che l’autore e gli interpreti stanno cercando di trasmettere.” (fonte)
Secondo il poeta romantico, noi viviamo nel nostro mondo e crediamo alle sue regole, abbiamo una mentalità che ci permette di interpretare gli eventi di questa dimensione; ma, quando leggiamo un libro, smettiamo volontariamente di credere, sospendiamo la parte razionale del nostro cervello: ci abbandoniamo completamente e totalmente all’esperienza letteraria, il che significa mettere a tacere la nostra capacità intellettuale che ci permette di giudicare ciò che è possibile e ciò che è impossibile; solo così possiamo godere pienamente dell’esperienza letteraria.
Secondo Tolkien, ciò che accade veramente è l’esatto contrario: non abbiamo una sola mentalità che funziona sempre, il che significa che, se vogliamo godere di un’opera letteraria di finzione, non dobbiamo sospendere la nostra capacità intellettuale che determina la plausibilità di ciò che stiamo leggendo.
Mentre Coleridge affermava che per apprezzare appieno la letteratura di finzione è necessario sedare il nostro lato razionale - poiché il nostro intelletto parla una sola lingua, quella della realtà - Tolkien credeva che il nostro cervello potesse parlare più lingue; questo non significa che, come pensava Coleridge, dobbiamo sospendere l’incredulità, ma significa credere in un modo diverso: la nostra mente è plurilingue, e può parlare anche la lingua della finzione. Le regole del mondo reale e quelle del mondo della finzione non sono mai in conflitto tra loro, e lo stesso accade con le regole delle lingue: non dobbiamo smettere di credere nelle regole grammaticali di una certa lingua quando passiamo a un’altra.
Tolkien credeva che non ci fosse distinzione tra bambini e adulti quando si tratta della capacità di trarre beneficio da un testo letterario: gli adulti possono godere delle letture di fantasia tanto quanto i bambini, se lo scrittore è abbastanza capace da provocare questo effetto.
L’illusione si riferisce al fatto che accettiamo come vero qualcosa che sappiamo non esserlo. I bambini hanno una visione della realtà che non è così strutturata e definita come quella degli adulti: a loro è concesso un certo permesso di riorganizzare il mondo come lo immaginano; al contrario, agli adulti è richiesto di discernere ciò che è reale e ciò che è fittizio, e la divisione tra queste due dimensioni deve essere netta.
Questo avviene, secondo Tolkien, solo in un mondo in cui esiste una distinzione tra reale e fittizio: è il nostro mondo, quello che lui definiva “Mondo primario”. Quando leggiamo un testo letterario di finzione, usciamo da questa dimensione ed entriamo nel “Mondo Secondario”, dove abbiamo la possibilità di credere a ciò che il narratore ci sta dicendo, a ciò che ci sta facendo credere; questo mondo funziona secondo regole proprie, che non hanno nulla a che vedere con le leggi del nostro mondo.
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Il fantasy è solo una letteratura d’evasione?
Tolkien scriveva nel suo saggio On Fairy Stories che gli adulti non dovrebbero leggere opere di fantasia, perché sono destinati a leggere testi che appartengono alla nostra realtà, e non cercano di proiettarsi in altre: questo tipo di letteratura è quindi considerata una letteratura di evasione, perché ci porta in un’altra dimensione, diversa dal mondo in cui viviamo, e che obbedisce a leggi diverse.
“Anche se le fiabe non sono affatto l’unico mezzo di evasione, oggi sono una delle forme più ovvie e (per alcuni) oltraggiose di letteratura di evasione.”
Questo tipo di letteratura è considerato una lettura leggera, ma Tolkien rovescia la prospettiva: l’evasione viene definita, quindi, come una delle forze principali che guidano la letteratura.
La parola “evasione” è spesso usata con un tono di disprezzo, che Tolkien non accetta:
“Evidentemente ci troviamo di fronte a un uso improprio delle parole, e anche a una confusione di pensiero. Perché un uomo dovrebbe essere disprezzato se, trovandosi in prigione, cerca di uscire e tornare a casa? O se, non potendolo fare, pensa e parla di argomenti diversi dai carcerieri e dai muri della prigione? Il mondo esterno non è diventato meno reale perché il prigioniero non può vederlo.”
L’evasione è, secondo Tolkien, tutt’altro che leggera; ciò che sta alla base di questa idea è che una sola realtà - e le sue regole - non è sufficiente, quindi cercare di evadere dal nostro mondo primario e trovarne di nuovi significa alimentare la nostra curiosità e il nostro spirito di esplorazione, non fuggire dalle nostre responsabilità. Se un mondo solo non basta, abbiamo il diritto di esplorarne di nuovi, senza perdere la nostra capacità di discernere ciò che è reale e ciò che non lo è; siamo in grado di sperimentare dimensioni immaginarie, in cui le leggi della realtà sono diverse da quelle che conosciamo. Leggere le letterature dell’immaginazione è, quindi, un atto di curiosità intellettuale e spirituale.
“l’evasione è sana e necessaria, purché il lettore non abbandoni le proprie responsabilità, ma la riceva per migliorare il proprio sguardo sulla realtà.”
La letteratura crea mondi, storie e vite. Qui sta la grandezza di J.R.R. Tolkien: è riuscito a creare una realtà diversa, un Mondo Secondario che non è meno concreto di quello Primario. Non basta scrivere di dimensioni esterne per essere considerato un autore fantasy: bisogna avere talento, lungimiranza e l’immenso impegno di costruire qualcosa da zero, di creare qualcosa che non esisteva prima.
Essere umani significa raccontare storie e Tolkien è considerato uno dei più grandi narratori. Maestro nell’arte di costruire nuovi mondi, è stato in grado di creare un universo in cui è possibile scorgere sullo sfondo una storia più profonda, un continuum tra il completamente alieno e il meramente mondano, una “zona di meraviglia” in cui possono esistere mondi fantastici.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La difesa di J.R.R. Tolkien del genere fantasy nel saggio “On Fairy Stories”
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