

I fiori chiari
- Autore: Silla Ferradini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2019
Fateci caso: ogni volta che tornano in auge gli anni ’60 – in tv, sui giornali o in rete – non si fa altro che parlare di botte tra Polizia e studenti, di memorialistica dei nostalgici, di Mario Capanna e compagnia occupante, di gruppi o gruppuscoli più o meno estremizzati da una parte o dall’altra, di manifestazioni pacifiche e non, di Vietnam e così via. Come se in gioco, in quel decennio così euforico e complicato, non ci fosse stato altro, come se un pezzo di storia sia stato cancellato, o meglio, divorato, dal chiasso di qualche pseudorivoluzionario pronto, una volta cresciuto e vaccinato, a entrare all’interno di quel sistema che fino a poco tempo prima contestava.
No, gli anni ’60 sono stati altro, in particolare a partire dalla loro seconda metà, quando nel nostro Paese fecero irruzione i capelloni, i figli dei fiori, i beatnik, che nulla avevano a che vedere con gli opposti estremismi, con una violenza troppo spesso evocata e praticata, con i dogmi delle ideologie. Sognavano una società più giusta, depurata dal clericalismo, dall’oppressione della famiglia, dalle cravatte, dall’autoritarismo di uno Stato intimamente fascista. Erano in cerca di spiritualità, cercavano rifugio in qualche comune libertaria al largo del Questore di turno. Volevano svecchiare l’arte, proporre un modello di vita alternativo, magari provare un viaggio a braccetto di qualche sostanza psicotropa per allargare la coscienza.
I fiori chiari (Le Strade Bianche di Stampa Alternativa, 2019) è il romanzo una generazione fuori synk, che la coscienza ha provato ad allargarla davvero. La storia, raccontata da Silla Ferradini, è quella di un gruppo di ragazzi milanesi che si inventano un giornale, “Mondo Beat”, il Sacro Graal di tutte le riviste autogestite tricolori, e che si muovono in una città reduce dall’esperienza di “Barbonia City”, il campeggio autogestito di via Ripamonti sgombrato dalle forze dell’ordine tra il plauso della borghesia meneghina. Ragazzi a caccia di una “rivoluzione cromosomica”, come dirà uno dei protagonisti del racconto (o degli “sbatticazzisti”, verrà ribadito più avanti), armati di sacco a pelo e zaino, attenti a non cadere nelle trappole del mercato (“che non ci prendano per i paiperini o i figli di papà con i capelli alla mike bongiorno”), predicatori di una politica
“contro la mentalità miserabile degli uomini, dei loro stupidi sistemi economici, il loro falso perbenismo, le loro morali oscene, la loro minestra alle 8 in punto, i loro mestieri che bisognava imparare, il loro linguaggio che si doveva parlare”.
Il ritmo dettato da Ferradini è serrato, senza sosta: via (o quasi) le maiuscole, nemmeno la punteggiatura segue regole prestabilite. In nome e per conto di una libertà che gli stessi protagonisti del libro rivendicano e portano avanti tra qualche ingenuità ma con rigoroso spirito antagonista. Che trova il proprio apogeo in un finale duro, che non fa sconti a nessuno.
I fiori chiari ha una storia difficile e tormentata. Dimenticato per anni in un cassetto, il volume esce per la prima volta nel 1976 per i tipi delle Edizioni della Scimmia Verde per poi tornare in libreria a distanza di tre decenni, questa volta sotto l’egida della Otma: due edizioni semicarbonare, con distribuzione non esattamente capillare. Ora ecco una nuova pubblicazione curata da Le Strade Bianche di Stampa Alternativa, con in appendice la prefazione alla prima edizione e un’intervista all’autore, inserita come prefazione nell’edizione della Otma. Peccato che Silla Ferradini, nel frattempo diventato un apprezzato scultore, non abbia potuto ammirare la rinascita del suo racconto: si è spento pochi mesi prima che il libro andasse in stampa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I fiori chiari
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