La flotta di Roma imperiale
- Autore: Giuseppe Luigi Nonnis
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Anno di pubblicazione: 2016
Una temibile forza navale in potenza: ecco quello che è stata per secoli la flotta della Roma dei Cesari. Un deterrente per tutti gli avversari, tale da mantenere la pace sul mare per secoli. Nessuno avrebbe affrontato quello spauracchio, sebbene - Cartagine a parte - le battaglie navali siano state per la marina dell’Urbe scontri soprattutto coi pirati, più che contro navigli di regni nemici. Infatti, è un periodo di dominio marinaro assoluto quello preso in esame da Giuseppe Luigi Nonnis, dirigente scolastico in pensione, nel breve saggio "Le flotte di Roma imperiale. La strategia, gli uomini, le navi", pubblicato dalle edizioni cagliaritane Arkadia a giugno 2016 (118 pagine 11 euro). nel formato tascabile della collana Historica paperbacks.
L’attenzione dell’autore non si rivolge all’intero quasi millennio di vita della marineria militare romana, ma si limita al periodo di grande sviluppo e di profondi cambiamenti, tra la fine del I secolo a.C. e il 212 d.C., che vide anche una radicale riforma della marina e si concluse col riconoscimento della cittadinanza romana a tutti i non schiavi dell’Impero, all’inizio del III secolo.
Una grande arma navale in potenza: in effetti Roma realizzò concretamente, con netto anticipo, quella ch’è stata per secoli la dottrina della fleet in being, il principio di condotta della marina dell’Impero britannico, autentico colosso navale, secondo il quale una flotta non deve impegnarsi massicciamente contro il nemico, ma deve mantenere intatto il suo potenziale bellico, senza rischiare perdite importanti. Con la semplice presenza nei porti, può continuare a rappresentare una minaccia incombente per i nemici e così esercitare un’influenza indiretta nei conflitti o sulla politica internazionale.
Tanto vale nei confronti di avversari perfino più armati e numericamente consistenti.
Se si eccettua qualche modesto fastidio dovuto alla pirateria, la flotta romana raffreddava con la sua sola esistenza, nei secoli in osservazione, le ambizioni marinare di chiunque. Pertanto i suoi compiti vennero ricondotti sostanzialmente alla protezione dei traffici mercantili, obiettivo che la marina romana assicurò per secoli, grazie non solo alla forza delle armi, quanto alla prospettiva della concessione della cittadinanza romana, autentico strumento strategico di questa unità, come mette in luce l’autore.
Sulle origini, le fonti non sono precise, ma è probabile che fino alle guerre puniche Roma mantenesse una dotazione navale molto modesta. Per arrivare a una flotta capace di contrastare Cartagine è presumibile datare al 261 a.C, quando si comprese che i cartaginesi prevalevano con le loro pentère. Il console Caio Dulio comprese che se Roma non avesse assunto il dominio dei mari, a nulla sarebbe valso quello terrestre. Bisognava costruire navi e assumere sempre l’iniziativa in combattimento, per non subire la superiorità marinara del nemico. Prendendo a modello un’imbarcazione punica recuperata, i romani allestirono cento pentère, addestrando gli equipaggi a terra prima di esporli alle condizioni marinare reali. Per pareggiare la superiore capacità marinaresca dei cartaginesi, adottarono una tecnica di combattimento che colmasse la differenza: inventarono un ponte mobile, il corvo, che una volta affiancata l’unità nemica veniva calato con forza e l’agganciava coi robusti arpioni in bronzo di cui era dotato. Così legate l’una all’altra, le navi perdevano manovrabilità, un danno enorme per i punici, che lo avevano come punto di forza, poco male invece per i fanti di marina romani, ai quali il ponte artigliato consentiva invece di irrompere sullo scafo nemico e di combattere con tecniche simili a quelle terrestri, più che con quelle proprie degli abbordaggi.
Duilio vinse a Milazzo, Roma prevalse nel 241 anche al largo delle isole Egadi, assicurandosi la Sicilia. Tre anni dopo toccò alla Sardegna, con un colpo di mano che violava gli accordi fra le due potenze. Tuttavia, dopo questi successi navali incoraggianti, continuarono per anni rovesci marittimi dovuti all’acerba esperienza marittima dei Romani. Qualche storico parla di 600 navi da guerra e 1000 onerarie perdute in quindici anni. In compenso i Romani, dopo 1600 naufragi, avevano imparato ad andar per mare.
Successivamente, si ebbe una progressiva smilitarizzazione del Mediterraneo, sotto il controllo di Roma.
Cinque i modelli di battelli militari delle flotte romane: esaremi, pentère, quadriere, triere, liburne, in ordine decrescente di grandezza.
Nel 212 a.C. si calcola che armassero le navi romane 70.000 marinai, chiamati milites classiarii, soldati della flotta. Una probatio, la leva, verificava la costituzione fisica e l’idoneità al servizio, avviandoli a quattro mesi di duro addestramento nella schola militum, in qualità di tiro, allievo.
Il probatus veniva sottoposto anche a verifica del suo grado di romanizzazione. Poteva arruolarsi gente di ogni origine, quella romana era una vera marina multietnica.
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