Patria di Giovanni Pascoli fa parte del libro di Myricae e su questa poesia è ricaduta la scelta per la simulazione prima prova maturità 2019. Considerato il titolo è facile essere tratti in inganno rispetto al contenuto del componimento. Non si tratta in alcun senso di una poesia civile patriottica, considerato anche che il titolo originario era Estate, ma di una poesia che richiama alla memoria ricordi nostalgici della vita e dell’età giovanile del poeta. Patria va inteso non in senso patriottico, quindi, quanto in un senso di rievocazione di quelli che sono i luoghi “patri”, quelli legati alle origini del poeta. Vediamo insieme il testo, la parafrasi e l’analisi di Patria di Giovanni Pascoli.
Patria di Giovanni Pascoli: testo
Ecco il testo di Patria di Giovanni Pascoli.
Sogno d’un dì d’estate.
Quanto scampanellare
tremulo di cicale!
Stridule pel filare
moveva il maestrale
le foglie accartocciate.
Scendea tra gli olmi il sole
In fascie polverose;
erano in ciel due sole
nuvole, tenui, rose;
due bianche spennellate
in tutto il ciel turchino.
Siepi di melograno,
fratte di tamerice,
il palpito lontano
d’una trebbiatrice
l’angelus argentino…
dov’ero? Le campane
mi dissero dov’ero,
piangendo, mentre un cane
latrava al forestiero,
che andava a capo chino.
Parafrasi di Patria di Giovanni Pascoli
Di seguito la parafrasi di Patria, opera di Giovanni Pascoli.
Sogno di un giorno d’estate.
Quanto scampanellare
versi di cicale!
Stridule pel filare
il maestrale muoveva le foglie accartocciate.
Scendeva il sole tra gli olmi
coi suoi polverosi raggi;
c’erano in ciele solo due nuvole
tenui e erose;
due bianche spennellate in tutto il cielo turchino.
Siepi di melograno, fratte di tamerice,
il rumore lontano di una trebbiatrice
l’angelus argentino…
Dov’ero?
Me lo dissero le campane, piangendo,
mentre un cane latrava al forestiero,
che avanzava con la testa chinata.
Analisi di Patria di Giovanni Pascoli
La lirica comincia con un chiaro riferimento a una giornata estiva e alla descrizione chiara delle sensazioni che suscita. Pascoli pone subito l’accento sul suono prodotto dalle cicale e sul fruscio di foglie dovuto al passaggio del Maestrale. Il riferimento successivo riguarda il sole, che tutto illumina con i suoi raggi, e le nuvole, uniche pennellate di bianco e rosa tenue in un cielo infinito e azzurro cristallino.
Tra i ricordi legati ai rumori e ai colori dei posti di origine a lui tanto cari gli sovviene bruscamente quello della morte del padre, ricordata dalle campane, che lo fa sentire come un forestiero a casa sua, come colui a cui anche i cani abbaiano poiché non lo riconoscono.
Le rime di questa poesia seguono lo schema A, B, A, B e nella metrica si evidenziano vati novenari caratterizzati da molti enjambements che dividono elementi solitamente strettamente uniti come soggetto e verbo o aggettivo e nome a cui esso si riferisce.
Al centro del testo si trova un gioco di elementi visivi e uditivi che hanno lo scopo preciso di suscitare sensazioni differenti nel lettore così come in linea con la poetica pascoliana, che pone sempre grandissima attenzione agli aspetti fonici.
I suoni che compongono le parole vengono espressi per la maggior parte tramite onomatopee il cui scopo è trasmettere l’essenza della poesia e dell’oggetto descritto in quel momento: scampanellare delle cicale, fruscio del vento tra le foglie, palpito della trebbiatrice. Con queste espressioni il poeta vuole evocare nel lettore sensazioni di tipo uditivo ma anche di tipo visivo.
Tutti questi suoni e queste immagini nostalgiche altro non fanno che rievocare con il magone alcuni elementi nella memoria del poeta che richiamano la Romagna e San Mauro nelle migliori giornate estive. Nella prima parte della poesia questi ricordi arrivano al lettore come puri, incontaminati dalle difficoltà della vita, proprio come li vedeva e viveva Leopardi nel corso della sua infanzia, ancora lontano dal disincanto tipico della maturità.
Il clima sereno della poesia è improvvisamente spezzato da un ricordo, il più doloroso per Pascoli: si tratta della morte del padre e del buio in seguito a questo avvenimento, buio che lo ha strappato dal suo innocente vivere l’infanzia.
A questo punto sole, cielo e rumori estivi vengono oscurati dall’angoscia che attanaglia il luogo d’origine del poeta, creando per il componimento un epilogo triste che svela la verità al lettore e al poeta medesimo: Pascoli altro non è che un estraneo per i suoi luoghi patri, vive come un esule e non può trovare che nel ricordo l’idillio di com’era vivere in quei luoghi quando c’era un reale senso di appartenenza.
Nella prima parte della poesia la visione del mondo di Pascoli, eternamente fanciullesca, emerge in maniera chiara e inequivocabile, ammantando tutti gli oggetti descritti in maniera quasi onirica. Nella parte di componimento in cui il poeta ricorda il dolore dovuto alla scomparsa del padre i suoni si induriscono e si fanno più aspri rispetto alla parte precedente.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Patria di Giovanni Pascoli: analisi e parafrasi della poesia assegnata nella simulazione di maturità
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