La poesia di Raymond Carver è cruda, profonda, malinconica. Leggere i suoi versi è fermare il tempo per meditare sulla condizione di un’umanità negletta; come ammirare le pitture di Edward Hopper osservando i personaggi che in esse compaiono e scoprirne lo stato d’animo; come stare affacciati a una finestra, spettatori di ciò che succede nei sottani o nelle strade di un quartiere popolare, oppure seduti sul gradino più alto di uno scalone d’ingresso a fumare oziosamente osservando in assorta contemplazione ognuno dei piccoli eventi che si verificano sotto i vostri occhi e tutto ciò che avviene in uno spazio più o meno ristretto in un tempo più o meno breve.
Leggere le poesie di Carver è, ancora, come concentrare l’attenzione su quella grande moltitudine di accadimenti minuti che non di rado passano inosservati, soprattutto su quelli, perché i personaggi di Carver si muovono dentro quadretti di piatta quotidianità, di cose semplici, di elementare gestualità, ovvi, spesso, almeno in apparenza, banali, tutti con un denominatore comune di dolore e di mestizia.
Carver riesce a stupirci con quel suo confidenziale verseggiare e da confessione accorata che tende alla scrittura in prosa.
La sua è una poesia che sa ‘raccontare’ in modo inequivocabile, diretto, talmente chiaro ed esplicito da suscitare profonde riflessioni, come uno di quei personaggi raffigurati nelle sue tele proprio da Hopper, sorpresi dal pittore in stanze disadorne in momenti di malinconica solitudine o di stralunato, pensieroso ragionare.
Inutile aspettarsi da Carver rivelazioni dirette sul significato dell’esistenza. Il messaggio contenuto nei suoi versi e nei suoi racconti viene filtrato da uno stile letterario scarno ed essenziale che può apparire monocorde: per i più, soprattutto per l’uomo della strada e i meno fortunati, la vita è disperazione, squallore, triste e disagiato vivere alla giornata. Chi legge l’opera dello scrittore originario dell’Oregon si avvicina, certo non senza dolorosa riflessione, alla consapevolezza che dietro ogni esistenza umana si trovano molto spesso male di vivere e angoscia, quella stessa che il poeta americano descrive, per esempio, nella poesia intitolata ‘La cabina telefonica’:
“Lei crolla, nella cabina, piangendo/al telefono. Chiedendo una cosa o due,/e piangendo ancora un po’./Il suo compagno, un tipo anziano in Jeans/ e camicia denim, sta in piedi aspettando/il suo turno per parlare, e piangere./ Lei gli porge il telefono./ Per un minuto stanno insieme/ nella minuscola cabina, con le lacrime di lui/che cadono accanto alle sue. Poi/ lei si va ad appoggiare al parafango/della loro berlina. E ascolta lui/ che prende accordi […].”)[1],
Solitudine, silenzio e incomunicabilità: in "Estate a Sacramento" Carver scrive:
“[…] il giorno del mio compleanno il 25 maggio/abbiamo speso 60 dollari e passa/per cena vino e cocktail/più un film/ a cena non abbiamo trovato quasi niente da dirci/ anche se ci sorridevamo/ spesso […].”)[2].
Leggiamo poi come il poeta descrive quel momento di crisi esistenziale che paralizza l’artista della parola fino al punto di impedirgli di trovare il giusto vocabolo per esprimersi (il titolo della poesia è "Allungare le mani"):
“Si rese conto di essere/ nei guai quando,/ nel bel mezzo/ della poesia, / si sorprese/ ad allungare le mani/ per prendere /il dizionario dei sinonimi/ e poi il Webster/ uno dopo l’altro.” [3]
Scomparso nel 1988 ad appena cinquant’anni, Ray cresce in una famiglia di origine umilissima, lontano dal frastuono delle grandi città degli Stati Uniti e dai grattacieli.
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Di lui, diventato famoso negli ultimi dieci anni della sua vita soprattutto come scrittore di racconti (Carver è oggi considerato tra i maggiori scrittori del Novecento americano ma risale a tempi relativamente recenti, come la tendenza generale a considerarlo il ‘Cechov americano’, la ‘scoperta’ del grande valore letterario della sua opera), la poetessa Tess Gallagher, che il poeta sposò in seconde nozze, scrive:
“La fortuna di Raymond Carver è stata non solo quella di provenire dalla sua gente, ma di essere riuscito a portare le loro vite umili e i loro sogni in gran parte irrealizzabili al centro della letteratura mondiale”.
Riferendosi alle grandi qualità mostrate da Carver nella sua veste di docente di scrittura creativa presso l’Università di Syracuse, lo scrittore statunitense Jay Mc Inerney scrive:
“Ray ha avuto un effetto decisivo su un gran numero di studenti. Di sicuro, ha cambiato la mia vita in modo definitivo e ho sentito anche molti altri dire la stessa cosa”.
Poeta, scrittore, insegnante, saggista. L’opera di Carver, sebbene limitata alla pubblicazione di circa una dozzina di volumi, può suscitare, nel lettore che riesca ad apprezzarla, momenti di fruttuosa meditazione; le sue opere in versi e le sue storie spesso sanno essere crudeli, ma forse proprio per questo esercitano un grande fascino e meritano attenzione e ripetute letture (e riletture).
Note:
- [1] R.Carver, Blu oltremare, tr.di P.Sica, Tullio Pironti 1994.
- [2] R.Carver, Per favore, non facciamo gli eroi, tr.di R. Duranti, pp.49-50, minimum fax, 2002.
- [3] R.Carver, Per favore, non facciamo gli eroi, cit., p.55.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Perché leggere le poesie di Raymond Carver: stile e contenuto
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