Il testamento del conte Inverardi
- Autore: Luigi Valloncini Landi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Salani
- Anno di pubblicazione: 2016
“Il testamento del conte Inverardi” (Salani, 2016) è il romanzo di un autore nato nel 1929 e laureatosi in Medicina e Chirurgia nel 1954, Luigi Valloncini Landi che dopo aver svolto per mezzo secolo la professione di medico condotto, una volta in pensione, nel 2004, si è dedicato alla scrittura.
La cinquecentesca Villa Mandolossa è lo sfondo ideale nel quale vanno in scena amori e tradimenti, vendette e intrighi, scandali e segreti che attraversano il Novecento nel libro dedicato “A Laura” redatto da un autore che conosce bene questo mondo affascinante, giacché
“da più di ottant’anni vivo in mezzo agli aristocratici”.
18 luglio 2004. Il dottor Luigi Valloncini Landi, medico condotto nel paese di Settepassi festeggiava i cinquant’anni di laurea e il sindaco aveva organizzato in suo onore una cena di gala a Villa Mandolossa, ceduta in affitto prima che andasse definitivamente in rovina dagli eredi Inverardi al signor Saracino che l’aveva trasformata in una location alla moda, dove chiunque poteva prenotarsi per celebrare le ricorrenze più care.
“Sono più di tre secoli che noi Valloncini siamo alle dipendenze dei conti della Pieve”.
Se il bisnonno di Luigi era stato un cocchiere e il nonno, uno stalliere, il padre di Luigi era al servizio del conte Gilberto come cameriere, che serviva a tavola in maniera impeccabile
“ma teneva sempre in bocca delle pasticche di liquirizia per coprire l’odore dell’alcol”.
Monia, la madre di Luigi, era la cuoca della magione costretta a subire le depravate attenzioni del conte Filippo. Anche Luigi aveva continuato la tradizione ma a un livello più elevato: il conte Gilberto l’aveva fatto studiare da medico,
“con il patto che avrei esercitato la professione nel suo stesso paese e che sarei sempre stato a sua disposizione in caso di bisogno”.
La cena in suo onore a Villa Mandolossa era stata l’occasione per Valloncini di ritrovare quel mondo
“che sempre mi ha accolto e sempre mi escluderà”.
Camminando per i vasti saloni della dimora Luigi ripensava a suo padre, alto e dal portamento eretto, che di prima mattina lucidava i pavimenti con uno spazzolone pesante e uno straccio imbevuto di cera profumata di trementina. Alle 10:00 per il breakfast il conte e la contessa sedevano agli estremi della lunga tavola ovale di mogano,
“apparecchiata con sottopiatti amaranto di fabbricazione inglese, decorati da scene di caccia”.
Alla vita dorata della famiglia aristocratica Valloncini Landi contrappone con maestria quella dei mezzadri, tenuti alle dipendenze degli Inverardi per intere generazioni. Una vita dura con l’unica consolazione della polenta e l’osteria. Ancora più grama la sorte delle contadine il cui destino era segnato dal giorno stesso in cui venivano al mondo: quasi nessuna andava a scuola, fin da piccole in casa a prepararsi ai compiti che le aspettavano appena arrivate in età da marito. Non meno triste la parabola esistenziale della contessa Sveva, moglie di Filippo e madre di Gilberto, morta precocemente, il cui ritratto nel salone di Villa Mandolossa rivelava tutta la sua malinconica ed eccezionale bellezza.
L’esperienza clinica e umana vissuta come medico condotto tra ricchi aristocratici e poveri contadini, era stata dunque così intensa e sconvolgente da spingere Luigi Valloncini Landi a riunire gli appunti riportati anno dopo anno su cinquanta grossi quaderni in un unico volume, cercando di dare un ordine logico alle sue memorie. Riscrivendo e riordinando, quel volume si era trasformato in “Il testamento del conte Inverardi”. Era stato così che l’autore aveva cominciato a raccontare, a immaginare, a inventare. Sarebbe emerso un quadro tanto coinvolgente quanto appassionante dove non è importante sapere se i tanti episodi narrati fossero veri o meno.
“Anche perché il più delle volte, come si sa, la realtà supera la fantasia”.
Il testamento del conte Inverardi
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