Sul numero di ottobre di Slide Italia è stata pubblicata la recensione dell’ultimo libro di Roberto Vecchioni, preparata dal nostro collaboratore Federico Guastella. Ecco la versione integrale per chi non potesse sfogliare il giornale.
Parla di sé Roberto Vecchioni nel recente libro “La vita che si ama. Storie di felicità” (Einaudi, 2016). A intesserlo sono deliziosi medaglioni che, fra ironia bonaria e pratica di vita, hanno come destinatari i suoi figli, ai quali, fra una narrazione e l’altra, dedica testi di canzoni scritti nell’arco di quasi quarant’anni. Egli affida loro l’eredità dei sogni cantati e a volte perduti, i giochi infantili, le dolcezze familiari, nonché gli anni più spensierati. Il suo è un percorso da decifrarsi come individuazione del sé interiore, centrato sull’amore in ogni manifestazione sia di dolore che di gioia. Del resto, l’incipit è abbastanza esplicativo. Egli scrive:
“La felicità non si definisce, c’è, c’è sempre, e non solo negli attimi che sconvolgono il cuore, ma nella consapevolezza sognante e progressiva dell’esserci e non subirla la vita”.
Qual è la chiave per arrivare a questa luminosa condizione cercata da tutti? Vecchioni ci dice che la felicità viene innanzitutto dagli affetti e dalle memorie di vite passate. Ed essa parte dalle cose, da un’idea attorno alla quale ruotano vissuti spesso contrastanti, ma nel contempo edificanti. Siamo nell’archetipo della “Casa” da leggersi come dimensione relazionale in cui il “noi” respira plurime atmosfere. Se è dunque la bellezza a salvare il mondo, essa non può che essere estratta dalle viscere della terra per poi gustarla in soste danzanti, i cui punti di luce diventano figure attraverso il miracolo della scrittura. Perciò, il libro, ancorché non ignaro degli inevitabili disincanti, può essere letto come una mappa d’ascolto degli “entusiasmi veri” che circolano nel sangue e offrono la visione di ampie prospettive. Se la tristezza si fa presagio di altri orizzonti, è soprattutto la gioia che, come un elastico, va estesa per non smarrirla soltanto nel ricordo. Decisivo è l’atteggiamento vitalistico del professore che cita Epicuro, ponendosi in contrasto con il punto di vista del filosofo greco. A mo’ di citazione sentenziosa, egli annota:
“Mentiva Epicuro. Non si è felici nell’imperturbabilità, ma nell’attraversamento del vento e della tempesta”.
Sin dall’inizio della narrazione, si staglia, nello scenario del cosmo domestico, la figura della propria moglie con parole poeticamente distillate che comunicano sensazioni, mentre evocano assenze e presenze. Sono i sentimenti di base che mettono ordine e fanno uscire dal deserto emozionale. La “Casa”, dunque, da percepirsi come centro irradiante e non assorbente, fondamento di legami in contesti di comicità e di entusiasmi per ogni novità, di scambi e di scoperte. È da questo archetipo, ideale e reale, che prende il via un modo di narrare scattante che, armonizzandosi con il parlato, contagia e coinvolge. Vecchioni pensa alla vita che passa e la rappresenta ora da professore con le suggestioni del suo “sapere”, laddove, ad esempio, indica l’intrigate interpretazione del mito di Orfeo, ora da presidente di commissione in un esame di stato quando manifesta la sua umanità, ora da cantante. Le pagine dedicate al proprio padre sono fra le più trascinanti così come quelle dedicate alla bizzarra figura di un collega di scuola che riceve riconoscimenti soltanto dopo la morte. Gli ingredienti sono diversi: il libro è una spremuta di umori fra invenzione e realtà, un resoconto quasi diaristico di meraviglie, di sensi di colpa e spesso di umorismo alla maniera pirandelliana del contrario. La vita che si ama è un gioco ritmato da regole, è anche un ridere delle delusioni o delle mancanze, e bisogna accorgersi che essa è sacra perfino nella lotta di trincea.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’ultimo libro di Roberto Vecchioni recensito su Slide Italia
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