Addio, gran secolo dei nostri vent’anni
- Autore: Giampiero Mughini
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2012
Un libro importante. Giampiero Mughini ha scritto diversi saggi narrando della sua storia personale di giornalista e di scrittore, e Addio, gran secolo dei nostri vent’anni edito da Bompiani qualche anno fa, consente di conoscerlo meglio. Per me che sono una sua lettrice, con un batticuore reverenziale nei suoi confronti, i suoi libri sono vere chicche che vanno ad aumentare l’affetto nei confronti di una nobile voce fuori dal coro: gentiluomo, ironico, umile, colto e raffinato, un uomo del Novecento.
Un saggio autobiografico tra storia e letteratura e non solo, anche politico, e l’ho immaginato sofferto, pensato, amato, corretto, accantonato e ripreso. Un libro sul secolo che abbiamo alle spalle, alla ricerca del nostro tempo passato: tragedie e conquiste, comunismo e fascismo, rivoluzioni e conformismi.
Un secolo, il Novecento, nel quale il Bene e il Male continuavano a spacciarsi l’uno con l’altro. Un lungo viaggio dalle scelte politiche, appena ventenne, all’addio alla sinistra (orgoglioso del suo isolamento), percorrendo la vita dei suoi eroi letterari, la rivoluzione nei costumi, nell’arte con Andy Warhol, nella musica rock che portava scompiglio e con gli occhi rivolti alle bellissime bad girls. La sua, una generazione nata nel mezzo del conflitto mondiale che insieme alla mia, quella del benessere, sono state le ultime a credere nella politica, nel suo credo e nei suoi valori, in coloro che parlavano a braccia dai palchi, intrappolati nel culto della memoria degli avi e del loro potere ideologico.
Della sinistra il nostro autore ha studiato i padri e le loro idee, vi ha militato per quasi vent’anni fino a chiamarsi fuori da un mondo finito e sepolto come ha narrato in Compagni addio del 1987. Seduto su di un divano neoclassico di inizio Ottocento una sera d’autunno del 1963, in compagnia di amici, nel giovane Mughini nacque l’idea di fondare una rivista.
Tra assemblee universitarie e cinema d’essai, tra i primi scioperi della Fiat e i vinili di rock inglese e americano, la generazione post bellica desiderava giungere presto al progresso e ai suoi benefici, danari e consumo. Nella stanza della sua casa di Catania usata per le grandi occasioni, dove non c’era un televisore, non un giradischi, non una radio e quanto ai libri, pochi e che appartenevano al nonno, la rivista Giovane Critica venne data alla luce. Allo stesso modo erano nati i Quaderni Rossi di Panzieri, i Quaderni piacentini dell’indimenticata Grazia Cherchi e vorrei ricordare le riviste di qualche anno dopo La Voce della Fogna e Diorama di Marco Tarchi. Umori e dissapori dei propri tempi, fucine di talenti e di storia culturale e politica del nostro paese, anni nei quali i terroristi erano già tra noi. Con la sua Olivetti Lettera 32, che ha scandito il suo itinerario di vita e professione, Mughini arriverà a Roma nel gennaio del 1970 quando i giornali c’erano e valevano.
Astrolabio, Manifesto, Paese Sera, sui tasti della Valentine la rossa, che batteranno con frenesia e ardore e gli incontri nelle redazioni con altri giovani giornalisti, Terzani, Caprara, Magri, Pintor, Ritanna Armeni e le sue bellissime gambe, e una giovane ventenne che arrivava da fuori Roma, Lucia Annunziata. Fino alla resa dei conti, con la lettera di dimissione da Paese Sera un po’ prima degli anni Ottanta, i più ingannevoli del Novecento per gli italiani, scrive l’autore, che si sentivano forti di una democrazia matura che era stata capace di sconfiggere il terrorismo e di allinearsi tra i paesi industriali più potenti del mondo.
La politica è volatile, basta un niente e niente è come il giorno prima.
L’autore dedica una parte del suo saggio, le pagine centrali, agli ideali di fine Ottocento che avrebbero cambiato le sorti dell’Europa. Tutte le strade portano a Parigi, scrive Mughini nel continuare a narrarci il Novecento, città nella quale ha vissuto e capitale di tutte le sinistre possibili che ripercorre con Lev Trockij, il quale, poco più che ventenne, rivolse il suo dissenso a Lenin e a Stalin. Aveva saputo usare tanto la penna che la spada.
La Parigi dell’ebreo Marcel Proust e la città amata da Hitler, che con l’aria di un turista d’eccezione passeggiava impettito guardando ammirato l’Arc de Triomphe. I potenti vogliono mantenere le loro posizioni col sangue, l’astuzia, l’incantesimo, scriverà Walter Benjamin, ne I Passages di Parigi. Nella città che rappresentava la grandezza dell’Occidente l’antisemitismo era più diffuso che altrove e sostenuto dagli scrittori con une rèputation germaneuse, Brasillach e Celine; la città della più grande tragedia umana mandava a morte Irène Némirovsky e dava rifugio ad intellettuali di contrapposto pensiero, Modiano e Pierre Drieu la Rochelle. Una bella nota è l’incontro di Mughini con il fratello ottantenne di Pierre, Jean, che nel suo salotto borghese custodiva i libri appartenuti al fratello.
Pagine intense scritte col cuore, che muovono la mia immaginazione e la mia curiosità e in men che non si dica, in un attimo, mi accorgo di essere arrivata alla fine del libro. “Accidenti, ci si mette niente a raccontare una vita. “
Addio gran secolo dei nostri vent'anni. Città, eroi e bad girls del Novecento
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