Alle Case Venie
- Autore: Romana Petri
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: BEAT
- Anno di pubblicazione: 2017
BEAT, nella collana SuperBeat, riedita “Alle Case Venie” (2017), romanzo pubblicato per la prima volta dalla scrittrice, traduttrice, editrice e critica letteraria Romana Petri nel 1997 per Marsilio, con il quale ha vinto Premio Rapallo-Carige 1997, il Premio Palmi, ed è stata finalista al Premio Strega 1998.
Romana Petri nata a Roma, dove vive dividendosi con Lisbona, ha pubblicato vari romanzi, tra i quali “Ovunque io sia”, “Tutta la vita”, il seguito di “Alle Case Venie”, “Figli dello stesso padre”, “Giorni di Spasimato amore” e l’ultimo “Le serenate del Ciclone” e raccolte di racconti. Tradotta in Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Spagna, Serbia, Olanda, Germania e Portogallo, l’autrice in queste intense pagine dedicate
“A mia madre, la castellana del Murmure”
pone al centro della narrazione un podere umbro, le “Case Venie” negli anni tra il 1943 e il 1945. Qui, dove si poteva osservare dall’alto i mattoni rossastri di Città della Pieve, a pochi giorni dall’8 settembre del ’43, viveva Alcina “una vecchia zitella di quasi trent’anni” dai capelli neri e dal cuore “rosso come il sangue” insieme al fratello Aliseo di diciassette, “magro magro e pallido” col cervello “andato nel vento”. I fratelli erano rimasti soli dopo la scomparsa del padre Astorre “uomo dalla corporatura immensa”, la madre Amarantina, “donna bellissima e di grande dolcezza”, era morta di parto nel dare alla luce il secondo figlio. In quella sera di fine estate e di prima pioggia settembrina, era giunto ospite a cena Spaltero. Il giovane considerato il più bello del paese, era arrivato alle Case Venie, dove si festeggiava il compleanno di Aliseo, in bicicletta con un cappello da ciclista calato fino agli occhi. Alcina e Aliseo avevano capito che Spaltero stava arrivando dal fischio acuto che pedalando lungo la strada sterrata intercalava a ogni curva con uno scampanellìo ritmato che cercava di imitare il motivo della canzone, Parlami d’amore Mariù.
“Non c’è molto rischio, bisogna pure che cominci. Potremmo almeno fare a turno, e diciamo che da domani è il tuo turno”.
In quella guerra di “puro impazzimento”, Alcina, Spaltero e Aliseo erano per la libertà, quella che ora non esisteva, i ragazzi avevano scelto di passare il tempo lungo dell’attesa collaborando con la Resistenza, diventando partigiani. Terminata la cena, dopo aver congedato Spaltero, salutato con una carezza sopra la testa il cane Astorre e prima di andare a letto, Alcina dalla finestra aveva guardato il paese. Da lontano, sulla collina, il borgo di Città della Pieve era buio a causa del coprifuoco. Alcina veniva considerata strana, perché guidava il vecchio furgone del padre e perché
“alla sua età non aveva ancora preso marito senza darsene alcun pensiero”.
Cosa avrebbero mai pensato i compaesani se avessero saputo che Alcina dialogava con lo spettro del padre apparso alla figlia seduto sul vecchio ceppo usato per spaccare la legna?
“Questa è la tua stagione preferita, vero babbo? Le prime piogge dopo il caldo dell’estate, le giornate che si fanno corte. Me lo dicevi quando ero bambina che questo è il vero odore della terra”.
Astorre è un’anima in pena, fascista convinto, scomparso nel 1938, non ha conosciuto gli orrori della guerra e quella paura che è diventata una “gran fabbrica di traditori”. Morto “in pieno errore di giudizio” e a causa di ciò con la coscienza divisa in due, Astorre ora chiede alla voce della figlia, che in vita non aveva ascoltato, di raccontargli come sono andate le cose e come vanno adesso. Se ora Alcina racconta al padre il doloroso presente, la donna non può sapere che il futuro è lontano dai luoghi natii. Sarà infatti un bacio a portare Alcina in Argentina, un bacio lungo e appassionato che Spaltero prima di partire le aveva rubato sul cancello del podere.
“Te lo volevo lasciare per ricordo, un bacio è solo un bacio Alcina mia, mica una promessa. Però...”.
Alle case venie
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