Amen
- Autore: Massimo Recalcati
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2022
Amen (Einaudi, 2022), atto unico di Massimo Recalcati, dopo la dedica all’amico e poeta Francesco Scarabicchi scomparso lo scorso anno, reca come epigrafe questa frase tratta da Finale di partita di Samuel Beckett: “Hamm: Intorno a te ci sarà il vuoto infinito, tutti i morti di tutti i tempi non basterebbero, risuscitando, a colmarlo, e sarai come un sassolino in mezzo alla steppa”, a indicare come sia la morte la protagonista assoluta di questo testo teatrale.
Sul palcoscenico, all’interno di una scenografia dimessa, si muovono tre personaggi: un uomo maturo (Enne 2), un soldato e una madre.
Al protagonista, alla sua riflessione sconsolata e a tratti rabbiosa, spetta il compito di coordinare ieri oggi e domani, a partire dalla propria nascita tribolata, così come viene raccontata dalla madre, poi da un passato che assume la voce di chi ha combattuto in guerra, per immaginare un futuro di decadenza fisica e mentale, fino all’inevitabile esito della scomparsa dal mondo dei vivi.
Enne 2 esprime il suo tormento filosofico nei riguardi del significato dell’esistenza, e soprattutto della sua conclusione: “dopo” risulta il termine più carico di spessore emotivo, nell’inquieto interrogarsi metafisico sul niente e sul buio che attende ogni essere vivente:
“Ma si potrà «dopo» ancora bere? mangiare? respirare? camminare? Avremo ancora «dopo» occhi, gambe, mani, orecchie, capelli, piedi? Potremo ancora «dopo» ridere? respirare? parlare? O saremo solo degli spettri freddi, fradici, separati per sempre dalla vita, inghiottiti dalla notte, morti per sempre, perduti, vinti, senza luce, caduti nel buio più buio della notte…”, “«Dopo» dove sarebbe? In cielo, sotto terra, in un altro mondo?”
Il destino ingiusto e crudele di essere destinati a sparire in quanto creature, viene stigmatizzato in un elenco rabbrividente di sostantivi e attributi che descrivono i corpi quando perdono ogni funzione vitale:
“Spettri freddi, fradici, separati per sempre dalla vita, inghiottiti dalla notte, morti per sempre, perduti, vinti, senza luce, caduti nel buio più buio della notte…”, “finiti, sfiniti, spenti, scomparsi, ridotti a marmi freddi, al silenzio totale”, “segatura, sabbia, cenere, polvere…”, “resti putridi, avanzi, scarti, sabbia, detriti…”
L’amplificazione del concetto nel reiterato susseguirsi di sinonimi serve a Recalcati per indicare quello che la morte toglie, con cieca ferocia, a chi vorrebbe poter continuare a godere della bellezza, dell’amore, degli affetti familiari:
“Voglio vedere ancora le cose, i corpi, i volti, gli odori, il sole, le stelle, i mari, le città, i ruscelli, la montagna, il bosco, le case, le strade…”, “bere, mangiare, respirare, baciare, toccare, vedere, leggere, scrivere, amare…”, “Troppo bello nuotare, correre, amare, respirare, camminare, vedere la luce…”
Al lamento funebre dell’uomo risponde la madre, rievocando il suo parto difficile, da cui lui è nato prematuro, sofferente, “gattino indifeso”, lottando con forza per rimanere aggrappato alla vita, per non essere risucchiato nel silenzio e nel vuoto del niente. E gli fa eco il ricordo del giovane alpino, coperto da un logoro pastrano, che ricorda le marce nelle notti gelide, il ritmo cadenzato dei passi di soldati in colonna sulla neve, il sacrificio di tanti ventenni caduti senza poter godere della loro giovinezza: “C’è solo la vita che resiste. Il ghiaccio attorno e la vita che resiste. Il passo e il cuore. Nient’altro. Tutto attorno morte e poi c’è la vita del passo e del cuore. Il passo e il cuore, amico. È tutto lì”.
È lo stesso cuore che batte, implacabile e mai arreso, nel neonato chiuso nella scatola trasparente di un’incubatrice e nel soldato sfinito che vorrebbe lasciarsi andare; ciascuno combatte furiosamente la sua battaglia per non arrendersi alla fine che tutto cancella: il partigiano come il terrorista, il toro portato al macello come i conigli scuoiati, i giovani amanti avvinghiati nel desiderio sessuale e gli anziani ormai inebetiti.
Alle voci dei protagonisti, stentoree nei loro disperati monologhi, fanno da sottofondo nella resa teatrale preghiere, canzoni popolari, versetti dei Salmi, i battiti amplificati di un cuore, lo scalpiccio di scarponi militari sulla neve, slogan di lotta armata, voci di bambini, pioggia e tuoni, e le parole dell’ultima lettera di Aldo Moro (“Se ci fosse luce sarebbe bellissimo”).
Dal battesimo all’estrema unzione, dal vagito del neonato all’Amen che accompagna la sepoltura, (“Amen! Ma io non voglio che finisca!”), tutto il testo di Massimo Recalcati risulta un drammatico de profundis che implora salvezza e pietà, ma grida anche la sua ribellione per la caducità dell’esistenza, che non merita di dissolversi nel nero della morte.
Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Franco Parenti di Milano, ha debuttato al Festival di Spoleto l’8 luglio del 2021 con Marco Foschi, Federica Fracassi e Danilo Nigrelli, per la regia di Valter Malosti.
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