Buonvino e il caso del bambino scomparso
- Autore: Walter Veltroni
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2020
Ho il fondato sospetto che sentiremo ancora parlare dell’ispettore Buonvino. Il “giallo” è il genere narrativo di tendenza e l’anti-eroe veltroniano ha tutte le carte in regola per imporsi all’attenzione come personaggio mediale tra i più amati, e dunque candidabile alla serialità. Ufficiale gentiluomo senza l’indole del tombeur de femme (matrimonio finito alle spalle), tifoso del Milan ai confini del maniacale (palla antistress dai colori rossoneri, e due gatti che si chiamano Gullit e Rijkaard), fan dell’attor giovane Nick Novecento (ha un poster in casa con il quale conversa amabilmente), colto il giusto, schivo idem, intuitivo quel tanto che basta per risultare buon detective e “capo” paterno: Giovanni Buonvino si (im)pone all’attenzione come l’uomo di legge della porta accanto, se così si può dire. Un vincente suo malgrado. Un investigatore con cuore. Uno che sa cos’è il dolore ma non si piange addosso, anzi si prodiga per i colleghi. Ripeto: difficile che i lettori ne rimangano indifferenti.
Con Buonvino e il caso del bambino scomparso (Marsilio, 2020) siamo intanto all’indagine numero due (la prima, uscita l’anno scorso per Marsilio, si intitola Assassinio a Villa Borghese). Un giallo classico all’italiana, dove la ricerca del colpevole si snoda sullo sfondo della mala società: nella fattispecie l’alta borghese degli investimenti allegri, e delle allegre famigliole soltanto di facciata.
Tutto comincia undici anni prima dell’era Covid: un bimbetto va in gita con la famiglia benestante e sparisce a un passo dalla soglia di casa. La pista pedofila sembrerebbe essere la più probabile, ma le indagini non portano a nulla: il padre ricco si suicida, la mamma ricca (e pittrice) quasi impazzisce, la sorella maggiore sopravvive "sgarrupata" e preda dei suoi traumi, al punto da rivolgersi, undici anni dopo, a Buonvino, reso celebre dal “caso” di Villa Borghese.
Con la collaborazione, in primis, di due belle poliziotte, l’ispettore individua gli estremi per riaprire l’inchiesta, e col resto dei suoi “magnifici sette al contrario” (il gruppo vanta, qui, due new entry: maschile e femminile) si dà da fare per sbrogliare una matassa che più aggrovigliata di così solo quella del precedente romanzo. Il resto va taciuto, così come il finale con due buone sorprese. Tirando le somme: i gialli “alla Veltroni” mancano della perfidia di Highsmith e non hanno nemmeno i climi plumbei dei romanzi di Simenon; quello che i romanzi di Walter Veltroni hanno dalla loro è un senso di pietas che non appanna lo sguardo sulla società italiana (di ieri come di oggi) della quale il politico-scrittore è acuto (ancorché pacato) osservatore/narratore.
Dimenticavo: tanto Assassinio a Villa Borghese quanto Buonvino e il caso del bambino scomparso si avvalgono di un buon ritmo narrativo.
Recensione di Mario Bonanno
Dopo aver fatto di tutto (fondatore e segretario del Pd, Sindaco di Roma, Ministro per i Beni Culturali, regista cinematografico), Walter Veltroni ora si dedica alla narrativa gialla, quella che tira di più fra i troppo pochi lettori italiani. Al suo secondo romanzo dedicato alle inchieste di Giovanni Buonvino, commissario un po’ sfigato della Polizia di Stato, ma ormai insediato con onore nel Commissariato di Villa Borghese dopo aver brillantemente risolto una caso doloroso coadiuvato da una squadra fedele quanto improbabile, almeno agli occhi dei suoi superiori, eccoci alla nuova avventura.
I personaggi sono gli stessi, ma se ne aggiungono due: un torinese spocchioso e Veronica Viganò, vedova di un collega, tanto bella da ricordare al cinefilo Buonvino la sua attrice preferita, Alida Valli, di cui porta sempre nel portafoglio due foto indimenticabili.
Una giovane donna, Daniela, ha riconosciuto il commissario durante una passeggiata nel grande parco romano e gli chiede un appuntamento per parlare di una drammatica vicenda familiare avvenuta undici anni prima: suo fratello Aldo, un bambino di otto anni, in un attimo di disattenzione dei suoi genitori e di lei stessa, allora quattordicenne, era scomparso senza lasciare traccia. Le ricerche della polizia non avevano dato alcun esito, le indagini erano state abbandonate. Poco dopo, il padre, Girolamo Nodari, si era buttato dal balcone sotto gli occhi della figlia. Ora la madre Luisa viveva in una sorta di lucida follia, dipingendo compulsivamente e ascoltando musica ad altissimo volume, mentre il rapporto con la figlia Daniela si era completamente deteriorato, costruito solo su accuse, sensi di colpa, malcelato odio.
La squadra di Buonvino si mette al lavoro e cominciano a uscire dettagli ed episodi mai affrontati nella precedente indagine, conclusa frettolosamente da un giudice che aveva puntato solo su una pista di pedofilia risultata inconsistente.
Ma al di là della trama, pur se intricata ma destinata a una soluzione brillante, quello che colpisce nel libro di Veltroni è il numero straordinario di citazioni letterarie, musicali, cinematografiche, artistiche. Attraverso l’espediente del giallo, Veltroni sembra voler continuare a raccontarci la sua idea della società, della cultura, della filosofia, della libertà, del rispetto delle minoranze, della famiglia. A ogni pagina cogliamo un riferimento a grandi letterati: Dante, che viene proposto ripetutamente, ma anche Oscar Wilde, Charles Dickens, Lucrezio, Caproni, Stefano Benni. Ci sono poi i pittori (Hopper), i musicisti (Morricone, i Beatles, Billie Holiday) e soprattutto i film. C’è nel romanzo una vera antologia dei film, dei registi, degli attori che hanno incantato il Veltroni-Buonvino; inutile nominarli tutti, ma almeno i più significativi vanno menzionati: Il postino, con l’indimenticabile Massimo Troisi, Nanni Moretti con Caro Diario, e tutto Hitchcock, soprattutto amato per Il caso Paradine, con Alida Valli, che somiglia così tanto alla poliziotta Veronica.
La trama gialla del libro si segue con interesse data l’attualità dei temi trattati: finanza che ha rovinato migliaia di persone, infiltrazioni malavitose provenienti dalla Locride, mele marce nell’ambito della magistratura, paradisi fiscali mai davvero perseguiti. Ma tutto il racconto sembra girare attorno ai luoghi amati dall’autore: La Casa del Cinema, il Parco dei Daini, il Giardino del Lago, la Galleria Borghese, il Bioparco, quasi a voler dire che, malgrado il susseguirsi di atti criminali, di disastri familiari, di corruzione e cattiva gestione della giustizia, Roma riesce in qualche modo, con la sua eterna bellezza e la sua bonomia, ad affrontare la contemporaneità con un filo di speranza. Ci sono ancora poliziotti onesti e motivati, la cultura non è scomparsa dagli orizzonti di chi è chiamato a compiti talvolta ingrati.
Il commissario Buonvino ha difficoltà, anche se deve, ad arrestare e mandare in prigione i colpevoli: sa che un sistema carcerario infernale non rieducherà l’arrestato. Nelle pagine del giallo, dunque, si affacciano le idee di Veltroni, il riformista progressista che non fa più politica attiva, ma scrive. Sulla qualità letteraria del libro non mi pronuncio, ma non credo che nelle intenzioni dell’autore lo stile della comunicazione sia in cima ai suoi obiettivi. Io però mi sono divertita, come sempre con Veltroni.
Recensione di Elisabetta Bolondi
Buonvino e il caso del bambino scomparso
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