Cena con poeti morti
- Autore: Luis Sepúlveda
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Guanda
- Anno di pubblicazione: 2013
Le edizioni Guanda, nella loro collana digitale, pubblicano testi brevi di qualità con un marchio d’autore. Racconti, saggi, interventi di attualità culturale e politica. Ebook che si prestano a una lettura veloce ma non superficiale, in tempi come quelli in cui viviamo che sembrano invece votati alla superficialità.
Di Luis Sepúlveda (1949), scrittore cileno che non ha bisogno di presentazioni, Guanda.bit ha proposto una storia scritta in punta di piedi, o di dita, con l’intenzione di omaggiare tre amici poeti morti: Hugo Araya, detto il Selvaggio, assassinato dai militari nel 1973; Francisco Melo Santos, chiamato Pancho, poeta dai versi incendiari, suicidatosi a Santiago nel 1971; Roberto Contreras Lobos, detto il Pensionato, poeta della tenerezza, morto di tristezza nel 2006.
L’occasione è offerta da un incontro serale intorno a una tavola imbandita di specialità locali, in una sorta di rito che si rinnova tra persone che si vogliono bene, ma per motivi diversi si sono allontanate e sparse nel mondo.
“Stavamo cenando da Off Record, l’ultimo ristorante bohémien di Santiago. Si mangia bene lì, i vini sono fantastici, la cortesia insuperabile e i prezzi onesti”.
Durante questa rimpatriata tra compagni di vita e di scrittura, a qualcuno viene in mente di ricordare un episodio che accomuni e individui l’indole particolare dei tre amici scomparsi, perché
“Gli amici non muoiono e basta: «ci» muoiono, una forza atroce ci mutila della loro compagnia e poi dobbiamo continuare a vivere con quei vuoti nelle ossa”.
Allora
“Tutti cominciammo a guardare in fondo al bicchiere, cercandovi le parole per riconoscere una delle verità più tristi, quella che ci insegna la cosa peggiore dei cinquant’anni, e cioè che a quell’età cominciano a morirci gli amici”.
Hugo il Selvaggio, un “gigante peloso” appassionato di arti visive, cameraman e poeta romantico, si staglia prepotentemente nella memoria dei commensali, con la sua rude sensibilità e la generosità di una lontana sera del 1969, quando, accompagnato un amico in un bar a corteggiare la cameriera a sorsi di Fanta, era poi uscito pudicamente a respirare il profumo della notte. E lì, trovando un piccolo lustrascarpe disperato per gli scarsi guadagni della giornata, si era prestato a farsi strofinare più volte le calzature, imitato da un pubblico sempre più numeroso, per aiutare il bambino a recuperare un po’ di soldi. “Ci siamo lucidati l’anima”, aveva poi spiegato all’amico innamorato che lo interrogava sul motivo della sua assenza prolungata.
“Se li nominiamo e raccontiamo le loro storie, i nostri morti non muoiono”
conclude saggio e malinconico Luis Sepúlveda.
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