Alessio Di Giovanni. La racìna di Sant’Antoni
- Autore: Marco Scalabrino
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2016
In un periodo in cui molti autori sfornano un libro, o anche due, all’anno, ci sembra veramente incredibile che uno scrittore abbia potuto lavorare per ben diciotto anni a un romanzo. Ci occupiamo qui del ciancianese Alessio Di Giovanni che per tanto tempo, appunto, ha limato il suo romanzo “La racìna di Sant’Antoni” la cui storia è ricostruita in questo saggio da Marco Scalabrino.
Il libro di De Giovanni fu edito nel 1939 a Catania dallo Studio Editoriale Moderno. Nel 1998 venne realizzata la ristampa anastatica (Siculgrafica, Agrigento), per conto della Provincia Regionale di Agrigento, un’operazione giudicata dallo studioso Salvatore Di Marco, alquanto dispiaciuto, come una pura e semplice ristampa, perché priva di un curatore e di un prefatore. Quella fu una occasione perduta, a cui gli studiosi non prestarono attenzione, anche perché all’iniziativa non fu data alcuna rilevanza.
Il saggio “Alessio Di Giovanni. La racìna di Sant’Antoni” è indubbiamente un prezioso lavoro portato avanti con scrupolo, serietà e professionalità, che va ad aggiungersi ai tanti altri già pubblicati nel corso degli anni. Marco Scalabrino, ormai non ci sorprende più. Da lui ci aspettiamo ancora tanti lavori e tanti saggi, che traggano dal dimenticatoio voci importanti che hanno fatto la loro parte nel panorama letterario italiano e in particolar modo siciliano o, comunque, scritti che aiutino a conoscere e capire l’opera di valenti figli della Sicilia.
Come già accennato, Marco Scalabrino, questa volta, si è occupato di Alessio Di Giovanni, poeta, narratore, saggista, traduttore che nacque a Cianciana, nell’entroterra agrigentino, da Gaetano e da Filippa Guida, l’11 ottobre 1872 e morì a soli settantaquattro anni il 6 dicembre 1946.
L’autore del saggio ci informa che le sue spoglie riposano nel cimitero di Palermo, ed io mi chiedo e domando ai ciancianesi: perché non a Cianciana, suo paese natale cui dedicò parte della sua opera?
Tra le opere narrative di Alessio Di Giovanni ricordiamo: “Maju sicilianu” (1896), “Lu fattu di Bbissana” e “Fatuzzi razziusi” (1900), “A lu passu di Girgenti” (1902), “Cristu” (1905), “Lu puvireddu amurusu” (1906), “Il poema di padre Luca” (1935), “Voci del Feudo” (1938); scrisse anche opere teatrali: “Scunciuru” (1908), “Gabrieli lu carusu” (1910); di narrativa dialettale: “La morti di lu Patriarca” (1920), “La racìna di Sant’Antoni” (1939), postumo “Lu Saracinu” (1980); e di saggistica: “La vita e l’opera di Giovanni Meli” (1934).
Tanti gli autori che nel corso degli anni si sono occupati della vasta produzione letteraria di Di Giovanni, molti dei quali di chiara fama e di grande levatura nel mondo delle lettere. Luigi Russo lo definì
“il più grande cantore degli umili dopo il Manzoni”.
Collaborò a numerose riviste e fu in contatto con grandi della letteratura mondiale, tra cui Frédéric Mistral, premio Nobel per la Letteratura nel 1904.
Alessio Di Giovanni fu il primo critico di se stesso e un grande estimatore della sua produzione letteraria. Nota egli stesso:
“Ho scritto poco; ma di quel poco ne sono assai soddisfatto. Ho buttato giù quasi tutto il poemetto “La seggia cu li vrazza” [che diverrà poi il principio de “Il poema di padre Luca”, edito nel 1935] e ne sono contento! Credo d’avere superato me stesso. Non mi dire orgoglioso: tu lo sai, io odio la falsa modestia”. (Lettera LXXXI del 22 ottobre 1910 a Silvio Cucinotta].
Nella lettera CXLIII, del 9 gennaio 1914, sempre a Silvio Cucinotta, comunica di avere scritto un nuovo dramma siciliano in tre atti: muscoloso, serrato, emozionantissimo.
“Credo d’avere fatto opera degna e che leverà alto il grido”.
A questo punto credo che sia più proficuo rimandare il lettore al saggio di Marco Scalabrino, in cui si respira un’altra aria.
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