Il patto dell’abate nero
- Autore: Marcello Simoni
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2018
Saga che vai, protagonisti seriali che trovi. Il problema, negli episodi delle serie narrative, è che una parte del testo va spesa per il punto di vicende e personaggi del titolo precedente. A merito di Marcello Simoni, va detto invece che il romanziere di Comacchio affranca tutti dallo sguardo all’indietro, perchè le sue trilogie seguono uno sviluppo lineare, come se fossero un solo lungo testo ininterrotto. È così anche per l’ottima Secretum Saga, che vede in libreria il secondo volume, “Il patto dell’abate nero” (Newton Compton, giugno 2018, 328 pagine, 9.90 euro l’edizione cartacea, 5.99 la versione eBook), seguito de “L’eredità dell’abate nero”, pubblicato nel 2017 dalla casa editrice romana.
È Newton Compton, con i suoi volumi di grande formato a prezzo di saldo, ad essersi aggiudicata oneri e onori editoriali, i profitti delle ingenti vendite delle trilogie (Codice Millenarius, la Cattedrale, il Mercante dei libri) dello scrittore già archeologo e bibliotecario, che per i primi thriller storici bestseller ha riscosso diritti d’autore interessanti e ottenuto riconoscimenti, compreso il prestigioso Premio Bancarella, nel 2012.
Dopo aver ruotato intorno alla Tavola di Smeraldo, la saga si indirizza verso le più prosaiche e leggendarie ricchezze di Gilarus d’Orcania, il condottiero turco che governava la città iberica di Noble, strappatagli da Carlo Magno nelle spedizioni contro i Mori di Spagna. I nobili franchi avrebbero voluto mettere le mani sui beni di Gilarus, ma il grande re non tolleraca dispute tra i duchi e fece seppellire gli averi in un luogo introvabile.
La leggenda parla di una mappa che condurrebbe al tesoro e qualcuno ad Alghero possiede la lettera lasciata dal traditore che aveva guidato le truppe di Carlo dentro la fortezza di Noble.
La vicenda ci conduce nella Firenze di metà 1400, dove un avido banchiere cerca contatti con un ebreo sardo, Simeone de Lunell. Il fiorentino è Teofilo Capponi, un tracotante che ha sposato la figlia dello scomparso Teodoro de’ Brancacci, anche lui in affari con l’israelita. Non c’è niente di regolare nella vita di Capponi, che raccoglie quanto merita, ucciso dalla moglie, dopo averla stuprata.
Bianca grida che il marito è stato accoltellato da un ladro e alle guardie fa il nome di Tigrinus, innocente ma non sprovveduto protagonista della saga. È il ragazzo coi capelli striati di bianco, in relazione stretta col Signore di Firenze Cosimo de’ Medici e anello di congiunzione con l’abate nero del Monte Athos.
Il cugino di Bianca, Angelo Bruni, ha intanto ricevuto notizia dell’insperato arrivo al porto di Pisa di merce attesa per anni dal padre Giannotto. Le carte di carico ritrovate in una barcaccia abbandonata nell’Egeo riconducono a lui venticinque tronchi di legno vizzino. Una fortuna, ma il materiale è marcio dal primo all’ultimo tronco. Irrecuperabile.
A Firenze, un uomo nerovestito si avvicina a Bianca dopo il funerale. Non altri che Tigrinus. Accusarlo è stato l’artificio per attrarre la sua attenzione - deve ancora nascere chi riuscirà a trattenerlo in prigione - l’ha aiutata una volta, ora l’aiuterà di nuovo a capire perché tanto il padre che quella canaglia del marito volevano comprare da Lunell chissà quale informazione preziosa.
Bianca ha un piano: Tigrinus deve andare in Sardegna, fingersi Teofilo e scoprire il gioco. Una richiesta o un ricatto? Entrambe, per via delle perle che proprio il ragazzo le aveva rubato. Ladro, ma dal cuore d’oro, il giovane accetta. In cambio chiede la libertà dal carcere delle Stinche del nano Caco, al quale tiene tanto, come a Suor Assunta, la buona monaca dello Spedale di Santa Faustina, che tanto fa per i suoi trovatelli, ai quali assicura cibo ed educazione.
È molto malata e soffre tremendamente. Il furfante più leale che conosciamo le parla amorevolmente e le somministra un infuso calmante, preparato da un bravo speziale. La saluta in cuor suo: tornerò, madre mia.
Nelle saghe di Marcello Simoni, ogni passaggio ha un significato. La sua narrazione segue un ordito a mattoni, come la tecnica usata dal Brunelleschi per tenere su la cupola di Santa Maria del Fiore, il duomo di Firenze (tanto per restare in tema). Procedere a “spina di pesce”, incastrando un “mattone” nell’altro, fa sì che ogni fase narrativa abbia un ruolo nella tessitura generale.
Tecnica d’alta scuola per un romanziere geniale, ma gatta da pelare per il recensore, nella consapevolezza che un’incauta, sia pure involontaria rivelazione potrebbe provocare un danno all’intera “costruzione”. Simoni non lo perdonerebbe e ne avrebbe tutte le ragioni, oltre a non meritarlo.
La piantiamo qui, per questo, limitandoci a notare che i birri vanno a cercare Tigrinus a Santa Faustina. Di qualunque cosa si tratti non sono stato io,
lo ripete fin da bambino. E fila via.
Il patto dell'abate nero. Secretum saga
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