Meridiano di sangue
- Autore: Cormac McCarthy
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2014
Vi sono opere letterarie che, pur utilizzando un piano narrativo semplice, segnano un punto di discontinuità nella storia della letteratura e si pongono come riferimenti anche per altre espressioni artistiche: Meridiano di Sangue (Einaudi, 2014, traduzione di Raul Montanari) appartiene a questo insieme e ha ispirato anche registi cinematografici, come Tarantino.
Il romanzo di Cormac McCarthy del 1985 - pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1996 - narra le vicende di una banda di cacciatori di scalpi di metà 1800, realmente esistita - la banda Glanton – che ha un regolare contratto - oggi diremmo “legale” o “legalizzato” dalla taglia posta dai governatori messicani per sterminare gli Apaches. A questa masnada di demoni, si unisce un ragazzo del Tennessee, chiamato semplicemente “The kid”, che:
Cova dentro un gusto per la violenza insensata…
La vita del ragazzo, fuggito di casa, subirà l’impatto di sangue, l’etichetta di vespero infuocato, che è il marchio di fabbrica dell’orda. “The kid” un giorno incontra il vero protagonista dell’opera, il giudice Holden: questi accusa pubblicamente un predicatore di atti di pedofilia e zoofilia, lasciando il mistico alla vendetta della folla inferocita.
Più tardi, candidamente, il giudice ammette di aver inventato le accuse senza alcun motivo: poi il racconto diventa un’odissea di luce abbacinante, ma senza gioia, e di un vento carnivoro che biascica le budella.
In un primo momento, il ragazzo si aggrega a una banda di malconci banditi che, appena passato il confine con il Messico, viene attaccata da un gruppo di guerrieri Comanche. Il ragazzo, tra i pochi sopravvissuti, viene arrestato dalla polizia messicana: vedrà nella possibilità di arruolarsi tra gli sgherri del capitano Glanton una possibilità di riavere la libertà. Comincia il racconto della saga di sangue, orrore e morte, in scena tra i paesaggi arsi dal sole tra il Messico e gli Stati Uniti: indiani, inermi contadini messicani, soldati isolati o sbandati, chiunque abbia la sventura di capitare di fronte alla banda Glanton, viene ucciso e depredato dei pochi averi, o in altri casi, ucciso senza neppure questo movente materiale.
Poi i massacri diventano scomodi anche per coloro che li avevano commissionati e/o ritenuti utili al controllo della frontiera. I banditi vengono attaccati ed eliminati dall’esercito USA. Il ragazzo, tra i pochi a scampare al massacro, tenta invano di uccidere il giudice Holden e infine si ritrova di nuovo a vagare lungo la frontiera tra Messico e Texas.
Infine, The kid, ormai divenuto adulto, ritrova il giudice che lo uccide, anzi lo annichilisce, facendolo letteralmente scomparire nell’enormità del suo corpo, come Moby Dick con Achab.
Il male, nel capolavoro di McCarthy, non è motivato da fini specifici, non proviene dall’avidità o dal potere: è solo un dato di natura - neppure si dovrebbe etichettare utilizzando un termine che implica un giudizio morale – l’Uomo compie il male semplicemente esistendo.
Il libro apre al concetto di “colpa esistenziale”, che ricorre anche nell’opera di Heidegger, alla base del racconto della contrattazione biblica tra Uomo-Dio, nell’episodio di Sodoma e Gomorra: non basta la presenza di un solo Giusto perché Dio sia spinto a salvare la città, ne occorrono un certo numero; questo vuol dire che è accettabile, per il Dio Veterotestamentario, che alcuni siano puniti sebbene giusti, rei solo della dimensione comune, esistenziale, della colpa.
Il male di cui tratta McCarthy non ha una radice nietzschiana, non ha molto a che vedere con l’atteggiamento indotto dalla volontà di potenza, non è volto al bieco tornaconto di chi delinque, è piuttosto una violenza metafisica, che rivive nel sole sfolgorante e nel freddo estremo delle terre ritratte nel romanzo: la Natura con i suoi strali rende il mondo, almeno quel mondo, inadatto alla Vita.
Il personaggio chiave di questa interpretazione del male, come atto di Natura, è il giudice Holden, un personaggio tra i più importanti della letteratura del novecento, degno di stare vicino agli archetipi del male: a Stavrogin, a Kurtz, ad Achab o forse, per le qualità che mette in mostra, al Dio del Vecchio Testamento o al Satana di Milton, in ogni caso un personaggio che oltrepassa i limiti dell’umano:
Era calvo come un uovo, non aveva traccia di barba e i suoi occhi non avevano sopracciglia né ciglia. Era alto più di due metri…… enorme, bianco e glabro come un infante smisurato.
Una descrizione che non può non rimandare a Moby Dick, il demone rincorso da Achab: in un certo senso Holden è sia Achab che Moby Dick o forse la balena che ingurgitò Giona.
Per intendere la totale assenza in Holden di qualsiasi metrica morale nel valutare l’agire è utile il seguente passo relativo all’omicidio di un bambino:
… il mattino seguente il giudice lo vezzeggiò tenendolo su un ginocchio … Toadvine lo vide passare insieme al piccolo, con la sella in mano, ma quando tornò indietro dieci minuti dopo con il cavallo, il bambino era morto e il giudice l’aveva scalpato… il giudice sorrise e pulì lo scalpo sfregandolo sulla gamba dei pantaloni…
L’episodio non è definibile come immorale, diverso e di più: è oltre la umana valutazione etica dell’agire, oltre il bene e il male.
Il secondo personaggio, impossibile antagonista del demoniaco giudice, è il ragazzo, la cui presenza colora, tra l’altro, l’opera della tinta del romanzo di formazione. Infine, il terzo personaggio è il capitano Glanton, capo della banda.
A questo satanico terzetto, si potrebbe applicare lo schema che Albert Camus propose per i Demoni ne Il mito di Sisifo: essi costituiscono una Trinità rovesciata, capovolta: Holden è la negazione di Dio, Glanton l’opposto dello Spirito e il “ragazzo”, che finirà sacrificato come Cristo e come Kirillov, è l’immagine capovolta di Gesù.
Ma in contrasto con la trinità delle Scritture, trina ma cementata dall’afflato dell’amore, quella distopica di McCarthy è incline alla scissione indotta non dall’odio ma dalla legge di natura: cozzo, guerra, necessità del male.
Nel finale il Dio di violenza annichilisce l’immagine capovolta di Gesù che come nelle Scritture è sacrificato; il giudice abbraccia con la sua mole bianca il ragazzo che scompare: in questa rappresentazione la legge di natura costituisce l’etica dell’essere immortale.
Il perno di questa Trinità capovolta è sicuramente il giudice: sa ballare e suonare il violino, disegna, cavalca, parla molte lingue, conosce la chimica e chissà quali altre diavolerie!
Il Dio della Genesi crea attribuendo il nome alle cose esattamente come fa Holden che porta sempre con sé un taccuino dove scrive proposizioni misteriose, disegna quello che vede e soprattutto dà un nome alle cose, creandole - nel mondo delle idee platoniche - con il semplice potere della Parola. La natura del giudice, divina o satanica, ma in ogni caso ultramondana, traspare in rilevo:
Questo è il regno cui ho diritto, disse. Eppure, in esso ci sono ovunque nuclei di vita autonoma. Autonoma. Perché esso mi appartenga non devo permettere che qualcosa vi accada senza il mio permesso… Qualunque cosa esista nella creazione senza che io la conosca esiste senza il mio consenso.
A parlare è un alter ego di Dio o il Demonio stesso! Il giudice è giudice non del diritto umano ma, in virtù d’una discendenza ultraterrena, di quello ultramondano: Holden è giudice non in quanto applichi la legge (degli uomini) ma in quanto formula la sua definizione di giustizia; egli è giudice con l’autorità di un dio di crudeltà.
E la verità, nel mondo distopico di McCarthy? Nietzscherisponderebbe: solo un comando che la volontà di potenza impartisce all’epistemologia! Quindi, come sempre in McCarthy, il protagonista è il bordo, il confine: dall’Odissea in poi ogni opera letteraria tratta degli uomini di frontiera, o meglio tratta degli uomini che sono tutti creature che abitano i bordi.
McCarthy ci rammenta che l’uomo non è (più) al centro, forse, in realtà, non lo è mai stato. Al centro c’è un’enorme bestia di cui si averte ovunque il fiato fetido e il mondo è solo un’immane spreco di musica e di colori.
Meridiano di sangue
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