Stella Maris
- Autore: Cormac McCarthy
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2023
Con la recente uscita di Stella Maris di Cormac McCarthy (Einaudi, settembre 2023, trad. di Maurizia Balmelli) si è ricomposto il dittico costituito assieme a Il passeggero - edito da Einaudi nella primavera scorsa – con il quale uno dei più letti tra i contemporanei ha rappresentato il suo “canto del cigno”, essendo venuto a mancare nel giugno scorso.
Nel libro precedente di McCarthy, Il passeggero, il sommozzatore Bobby - figlio di un fisico, che ha collaborato con Oppenheimer alla realizzazione della bomba atomica, e fratello di Alicia – rinviene il relitto di un aereo, avvedendosi che tra i cadaveri dei passeggeri ne manca uno: comincia un gioco a rincorrersi con le autorità che suppongono che Bobby sappia molto più di quanto in realtà dimostri.
Invece, Stella Maris, nome di una clinica psichiatrica nel Wisconsin, parla esclusivamente di Alicia, precoce talento della matematica - con un’attitudine genialoide per la musica e in generale per i linguaggi - ma preda di una schizofrenia paranoide che, dalla lettura de Il passeggero, sappiamo averla condotta al suicidio.
L’architettura del racconto è eminentemente dialogica, non v’è intervento dell’autore fuori dai dialoghi, né si presentano considerazioni interne ai soggetti, tipo flusso di coscienza: il lettore è condotto nello studio del dottor Cohen, psichiatra, e assiste al corpo a corpo dialettico tra quest’ultimo e Alicia.
Se non fosse divenuta una matematica cosa le sarebbe piaciuto essere? Morta.
È una risposta seria? Io ho preso sul serio la sua domanda. Lei dovrebbe prendere sul serio la risposta.
Tutto il romanzo è un gioco di specchi, l’immagine di Alicia sbiadisce per rappresentare due snodi concettuali: il primo, palese nei dialoghi, è la questione dell’oggettività o meno della realtà che ci circonda e la capacità della matematica di descriverla; il secondo, implicito, emerge lentamente dallo stagno della psiche, è il valore morale dei vincoli che la società ha posto all’incesto.
E l’intelligenza sono i numeri. Non le parole. Le parole sono cose che abbiamo inventato. La matematica no.
Secondo questa interpretazione la matematica descrive un mondo alternativo a quello reale, forse il vero mondo. Questo apre lo scontro dialettico tra il terapeuta e la paziente sulla realtà che essa percepisce: figure che vede solo lei, ode solo lei, parlano sono con lei, in che senso sono reali?
Secondo Alicia tutto nasce da noi, i sensi non sono una finestra sulla realtà e la nostra percezione del mondo un mero elaborare di stimoli percepiti; no, proprio no.
La nostra non sarebbe solo una lettura delle cose in sé, per dirla con Kant, ma un processo che dal “di dentro” produce il “di fuori”: come direbbe Seth, il cervello crea la nostra coscienza.
Se si accetta questa impostazione, non v’è nessun criterio per stabilire la malattia mentale, noi tutti galleggiamo in uno stagno di soggettivismo.
In questo lucido delirio, in questo scontro tra l’Uomo e Dio, Alicia recita il ruolo del nichilista: siccome Tutto è Nulla, condurre popoli o ubriacarsi in un sottoscala, oppure gettare via la propria vita, sono tutte opzioni aventi lo stesso valore che è pari a zero! Nietzsche sottoscriverebbe.
Durante l’excursus attorno ai temi canonici del pensiero occidentale, Alicia cita e commenta i suoi fratelli nel sacerdozio laico della logica: Gronthendieck, suo mentore matematico, Cantor, padre degli insiemi infiniti, Gödel, con la sua idea di indeterminazione e poi Wittgenstein e Oppenheimer e Russell che, apprendiamo, desiderava solo copulare con la moglie di Whitehead.
Tra i due protagonisti non c’è vero dialogo, Alicia parla con sé stessa e con le sue ossessioni, è una matematica senza raziocinio, del resto ad avviso dell’autore la matematica non richiede raziocinio, è più simile alla musica che alla scienza, ci porta dove solo lei può andare perché crea questi luoghi del pensiero ex nihilo, una forma d’Arte che ci mostra l’Invisibile che è dentro il Visibile; definizione incompatibile con l’altra idea di matematica, quella fondata su un’assiologia, i cui teoremi non necessariamente condurrebbero alla verità ma sarebbero mere tautologie già contenute negli assiomi scelti.
Infine, il colpo di scena finale. Alice è innamorata del fratello Bobby, vuole un figlio da lui: il relativismo epistemologico diventa “relativismo morale”.
Pensavo che il fatto che non fosse accettabile non era un nostro problema. Sapevo che lui mi amava. Era solo spaventato. Sapevo da un pezzo che saremmo arrivati a quel punto. Non avevo altri orizzonti. Sapevo che saremmo dovuti scappare ma non me ne importava niente. In macchina l’ho baciato.
Secondo Alicia i paesaggi dello spirito, creati o meno dalla topologia, i fasci di luce ingenerati in noi dalla musica, e i punti di riferimento morali, sono tutte costruzioni degli uomini, storicamente occorse e falsificabili (nel senso di Popper): non esiste l’universale. In questo McCarthy torna dal suo nume William Faulkner che amava muovere i suoi personaggi nell’arso sud degli States sempre sull’orlo, e a volte ben oltre, del tabù infranto.
E lo “sparring partner” di questo scontro dialettico? Il controllato dottor Cohen, che ruolo gioca? Avendo sposato due volte la stessa donna, incardina il perno immobile, l’universale cui riferire il transeunte, come il metro esposto al Museo di Parigi che è l’archetipo di tutte le distanze misurabili.
In realtà, il terapeuta e Alicia sono due facce della stessa medaglia, forse la stessa persona: il dottor Cohen è l’uomo in bilico appoggiato sulla sua traballante razionalità mentre Alicia è il perturbante, per dirla con Freud, è l’Altro che vediamo allo specchio, l’immagine della nostra psiche, è l’estraneo che viola la casa del padre e unisce con una fune fatta di acredine parricidio e deicidio.
L’Altro che vediamo in noi - che ci sfida picchiando con il bastone del paradosso le nostre fruste convinzioni - sta a noi come l’Anticristo, dipinto nel Duomo di Orvieto da Signorelli, sta a Cristo: il dipinto influenzò molto Freud e la sua vista non può certo lasciare indifferenti.
La struttura del libro ricalca quella di Sunset Limited ma Stella Maris appare più lezioso, la lettura meno fluida, a tratti un saggio di epistemologia; in alcuni punti l’autore sembra si sia fatto prendere la mano, accetti d’offrire l’obolo all’intelligenza buia della protagonista, innervata, o intossicata, dalla lettura di circa diecimila tomi.
Per il resto, e purtroppo per l’ultima volta, è il solito geniale McCarthy, che ci accompagna per il Mondo, attraverso questo “atomo opaco del Male”, fin sul bordo del baratro, ci fa chiudere e poi riaprire e gli occhi, poi sorride sornione, vedete?
È tutta fuffa! Il Tutto esiste, ma non è. Che la strada non ti sia greve, Maestro.
Stella Maris
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Ho davvero apprezzato leggere questo pensiero su Stella Maris. Che condivido. Grazie!