Persecuzione. Il fuoco amico dei ricordi
- Autore: Alessandro Piperno
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2009
Sono passati parecchi anni dall’uscita del primo, discusso romanzo di Alessandro Piperno, quel “Con le peggiori intenzioni” che raccontava una storia di borghesia ebraica romana con grande capacità di approfondimento di temi di una classe sociale vista dal suo interno.
In libreria dall’ottobre 2010 con Mondadori, l’atteso “Persecuzione. Il fuoco amico dei ricordi” propone al lettore una bella sfida. L’argomento è difficile, pesante, irto di insidie, eticamente problematico: è la storia di Leo Pontecorvo, brillante oncologo pediatra romano, discendente da una facoltosa famiglia ebraica, sposato contro il parere della sua influente famiglia con Rachel Spizzichino, ex alunna del suo corso universitario. Ora, siamo nel 1986, in pieno governo socialista di Bettino Craxi, il professor Pontecorvo abita in una lussuosa villa all’Olgiata, quartiere della campagna romana abitato da celebrità della vita politica e sociale della capitale, insieme ai due figli, Samuele detto Sami di dodici anni e Filippo, di quattordici. Non manca la fedele colf filippina che bada alle necessità della famiglia. Il quadretto idilliaco viene interrotto improvvisamente e in modo altamente drammatico, e purtroppo definitivo, da una notizia sparata dal telegiornale all’ora di cena: Pontecorvo viene accusato di molestie sessuali ai danni di una ragazzina dodicenne, la fidanzatina di suo figlio, che lo accusa pubblicamente, con la connivenza di genitori intriganti. Da questo istante, vissuto e raccontato al rallentatore, comincia il calvario atroce di Leo, abbandonato dalla famiglia, dagli amici, dai colleghi, attaccato dai media senza possibilità di difesa, caduto definitivamente in una trappola mediatico-giudiziaria da cui i suoi stessi difetti, un certo infantilismo, una sorta di ingenuità, una discreta dose di narcisismo, un latente senso di onnipotenza che deriva dalla sua condizione professionale, non riusciranno a salvarlo.
Alessandro Piperno è un grande e potente narratore: indaga, suggerisce, provoca, rievoca, condanna, riabilita. Il suo personaggio viene raccontato in tutte le sue sfaccettature, nei diversi momenti della sua vita che precedono la catastrofe: dall’infanzia in Svizzera dove la famiglia era riparata per sfuggire alla persecuzione razziale dopo il ‘38, alla sua brillante carriera scolastica e universitaria; dall’entrata nell’ospedale dove svolgeva il suo delicatissimo compito di assistere e curare bambini malati terminali con competenza e pietas, alle debolezze della sua vita troppo ricca: abiti, viaggi, vacanze, automobili, alberghi…tutto ai massimi livelli, senza dar troppo conto alle incombenze e alla difficoltà della quotidianità, agli investimenti finanziari, alle fatture, al rapporto con la fiscalità, tutto interamente affidato alla solida moglie, la formichina Rachel, sobria risparmiatrice, rigida educatrice dei figli, seria amministratrice del patrimonio familiare, eticamente ineccepibile in quanto ebrea rispettosa della tradizione religiosa del suo popolo. La caduta è tragica, definitiva, e mette alla prova le capacità di reazione di Leo che alla fine, accusato di un reato che non ha commesso ma che non ha saputo in alcun modo gestire, intrappolandosi in menzogne, mezze verità, soccombe. Una narrazione abilissima quella di Piperno, nel passare dal presente al passato, nell’aprire e chiudere lunghe parentesi che fanno propendere il lettore ora dalla parte del pur innocente Leo, ora invece spinto alla condanna impietosa di un uomo che ha creduto di poter giocare con l’esistenza in virtù del suo status di énfant gaté di una società troppo permissiva verso chi è potente; non a caso il craxismo, di cui Leo è un entusiasta sostenitore, è destinato a quella fine ingloriosa che resta nelle immagini tra le più violente della storia del secolo appena trascorso. Romanzo ricco di pagine bellissime, soprattutto quelle che vedono il protagonista cacciato dall’Eden e ridotto ad una condizione di clandestinità nella sua stessa casa, ostracizzato dai suoi cari, distrutto nel fisico e nella psiche, preda di incubi ricorrenti nei quali ricorda i tempi felici e rimpiange la sua imperdonabile superficialità.
Mi sono chiesta, a lettura conclusa, qual è il vero fine di Piperno: condannare il processo mediatico? Attaccare i magistrati troppo zelanti e aggressivi? Mettere in evidenza il tema dell’abuso sessuale troppo spesso impunito? Stigmatizzare una società che consente ad una dodicenne nevrotica di diventare carnefice di una persona per bene? Considerare Leo Pontecorvo come un ennesimo caso di persecuzione contro un ebreo innocente? Forse tutto questo. La cosa migliore del libro resta la scrittura, ricca, avvolgente, ben orchestrata e sorretta da un pathos narrativo che, soprattutto in certi momenti, si fa drammatico e commovente. Non aspetto tuttavia con ansia il seguito del romanzo, come annunciato dall’autore nell’ultima pagina del libro. Mi basta così. Mi pare abbia detto già tutto.
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