Un uomo pieno di morte
- Autore: Giorgio Manganelli
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2022
Giorgio Manganelli, nato a Milano nel 1922, da genitori di origine parmense, fu scrittore, giornalista (per il Corriere della Sera, l’Espresso e il Mondo principalmente) , traduttore (tra gli altri, ricordiamo Henry James e Edgar Allan Poe), critico letterario e curatore editoriale (per Mondadori, Einaudi, Adelphi), si trasferì a Roma nel 1953, dopo una tempestosa relazione con una giovanissima Alda Merini, lavorò come collaboratore alla RAI insieme a Umberto Eco e Alberto Arbasino, fra altri nomi di prestigio.
Partecipò attivamente al Gruppo 63 per una nuova Letteratura che andava contro, a loro avviso, al ciarpame sentimentalistico di un Carlo Cassola, Liala e altri scrittori che avevano un certo seguito.
Il libro Poesie di Giorgio Manganelli fu pubblicato da Crocetti editore, nel 2006, a cura di Daniele Piccini e poi di nuovo ripubblicato nel centenario dalla nascita, nel 2022. Mentre questa è una selezione delle migliori poesie di Manganelli, è stata data alle stampe, sempre in occasione dell’anniversario della nascita dell’autore, col titolo Un uomo pieno di morte (Graphe.it edizioni, 2022).
Un uomo pieno di morte ha una prima parte più elegiaca e umbratile, mentre la seconda parte è decisamente più irriverente e caustica, ma nel sottotesto è presente questo nichilismo di Manganelli che avvolge quasi tutta la sua produzione poetica.
La prima parte reca come titoli i Vangeli degli apostoli. Nella poesia Deposizione troviamo le reazioni alla crocifissione della madre di Gesù, Maria, della Veronica e della Maddalena:
La Madre Figlio, divinità: perdona / le mani folgorate che ti toccano. / Io perdono il tuo sangue / freddo come l’aria. Perdono / i capelli di rame: la durezza / tranquilla della bocca. / Perdono la tua lunghezza / tra le mie braccia leggere. / Tu hai le mani lunghe e le unghie / perdona, la veste che ti avvolge: perdona tua madre che ti tocca.
Maddalena. Stupore di vederti / dilacerato, steso, insanguinato: / le mani bianche / si levano al mio pianto / stupefatto: le mani salvate / s’ incrociano sul petto. / Stupore di vederti/ trafitto, insanguinato, estinto: / impure le mani toccano / il gelo delle membra.
Contro ogni previsione, chi si aspetta dall’autore di questi versi, indifferenza e noia, si trova a leggere dei versi che hanno a che fare con la deposizione di Cristo belli e intessuti di sofferenza. Ma il poeta Manganelli, per le sue scelte di neo-avanguardia non è costante. Dove salva la figura di Cristo, più tardi nel tempo lo "rinnegherà" artisticamente per situazioni più sulfuree, irriverenti.
Chiariamo una cosa: i cosiddetti “intellettuali” fino a tutto il Novecento hanno avuto un’educazione cristiana o cattolica. Sono le nuove generazioni che hanno avuto dei genitori che non hanno frequentato la Chiesa per ignavia o perché non credevano nelle istituzioni, in primis nell’infallibilità papale. Ma non credere nell’infallibilità papale significa non credere in Dio e Manganelli, pur avendo una cultura delle Sacre scritture ampia, non credeva a una vita oltre a questa in terra.
Ecco perché le sue poesie prendono una direzione più amate e mesta.
Poi viene la noia: i giorni / uguali, il ritmo monotono dei cibi, / il dissacrante gesto fra torpide lenzuola. / Dai corpi delusi scatta / il gesto del rancore: astuzie/ di denti e unghie in membra senescenti: / finché - innocenza, amore, libertà - nasce / l’infanzia improvvisa della morte.
Questa poesia spiega in modo impeccabile e bello, perché chi scrive non crede che le produzioni poetiche di Giorgio Manganelli siano marginali a tutto ciò che ha scritto, in particolare agli articoli su l’Espresso, che spesso erano scritti su committenza.
Quindi si arriva a una poesia molto diversa dalla prima che ho citato:
Sia lode a Dio per lo spazioso inferno / per l’assenza del sole, la sdentata / fame del vento sulle rosse foglie, / e la blesa querela dei dementi: / per ogni forma prefigurante / la violenza attiva / del ragionevole niente: per la città sotterranea dagli angoli esatti / luogo sintetico, oggettivo, / esente da speranza, imperfettibile - / per il suo cielo di rame.
La parte finale di questa selezione di poesie di Giorgio Manganelli è straziante, chiama la morte, “la mia amica”, si sente che l’autore patisce dolori lancinanti, fisici e psicologici.
Senza più conforti religiosi, senza più conforti umani, la vita diventa un guscio vuoto, pronta per essere gettata nei rifiuti, quelli non riciclabili.
Un uomo pieno di morte
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