Una stupida avventura
- Autore: Franco Mimmi
- Anno di pubblicazione: 2012
Quella dei Russo sembra una piccola saga familiare ma non lo è: le vite dei protagonisti scorrono distaccandosi dal panorama solo per qualche istinto basico (la lussuria, l’avidità, lo snobismo), però i fatti veri sono quelli della storia, e il contrappunto è quello delle canzoni o dei film che nella memoria popolare si accompagnano a quei fatti. In questo cieco progredire l’unica veggente è Rossana, che fin da piccola ha capito e dato per scontato che la vita non ha poi l’importanza che ognuno, compresi i suoi parenti e i suoi amici, le attribuisce, ma senza per questo cadere nella depressione e anzi cercando di godersi ciò che di buono l’esistenza le ha concesso. Se cercano di spronarla, allo studio, al lavoro, ai viaggi, all’amore, Rossana risponde a suon di canzonette, il suo modo di far capire che non c’è ragione per prendere le cose – e se stessi – troppo sul serio (“Forse, se io avessi qualche talento particolare, ancora ancora si potrebbe giustificare, ma io ho doti mediocri, lo so e l’ho sempre saputo, e non vedo lo scopo di alzarmi presto per quarant’anni a produrre mediocrità.”)
Tranquilla, soddisfatta della mancanza di sofferenza che è poi l’unica felicità possibile, Rossana rivendica per sé, tra lo stupore di chi la ritiene un po’ stramba, l’aggettivo “normale”. Dirà a suo padre:
“Mille impulsi, mille contraddizioni, mille meschinità, stupidità, avidità: quello che tu chiami normale è solo naturale, papà, e invece normale significa, semplicemente, la media delle anormalità. Pensaci un momento e vedrai che conosci poche persone che vivano lontane dagli eccessi la cui media fa la normalità, pochissime, forse una sola: me.”
Il concetto su cui si basa il libro, la vacuità della vita, potrebbe fare di “Una stupida avventura” un romanzo triste, deprimente, ma l’autore ce lo presenta con uno stile rapido e brillante al tempo stesso e approfitta persino dell’esposizione non cronologica dei fatti per raggiungere una straordinaria e ironica levità che risulta, alla fine, amabile e consolatoria. Rossana docet.
Una stupida avventura
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Ma voi vi siete accorti che lord Shalott, il nobile socio inglese del padre di Rossana (e amante di Rossana), ha preso il suo nome da "The Lady of Shalott", il poemetto di Alfred Tennyson? E vi siete accorti che quando Rossana va a trovarlo in Inghilterra, e osserva un paesaggio con "campanili grigi e cimiterini verdi, pieni - Rossana ne è sicura - di sconosciuti Milton", l’autore sta citando la “Elegia scritta in un cimitero di campagna” di Thomas Gray? Io me ne sono accorto perché insegnavo letteratura inglese, e sono stato davvero colpito da tanta eleganza.