A Zacinto è forse il sonetto più noto di Ugo Foscolo, poeta italiano nato a Zante, in Grecia, nel 1778. Questo componimento poetico è stato scritto tra il 1802 e il 1803 da uno dei principali letterati del neoclassicismo e del preromanticismo, autore di opere poetiche, romanzi (ricordiamo Le ultime lettere di Jacopo Ortis) e opere teatrali che studiamo ancora oggi.
A Zacinto fa parte di un brevissimo canzoniere (comprende un totale di dodici sonetti e due odi) ed è un componimento caratterizzato dal dolore dell’esilio, tema foscoliano per eccellenza, e dalla conseguente rivendicazione di una patria spirituale oltre che fisica.
A Zacinto è dedicato alla madrepatria Zacinto, che altro non è che il nome greco dell’isola di Zante, una delle isole Ionie al largo del Peloponneso. Il poeta vede la madre patria come una patria anche ideale, spirituale, e ne soffre la mancanza. Il dolore dell’esilio è accentuato dal timore (o piuttosto da una certa sicurezza) di un non ritorno: il poeta infatti canta la gloria della sua terra, nella quale però non tornerà mai più, consapevole che la sua morte sarà altrove, in una terra straniera. Foscolo morirà in un sobborgo londinese, in totale povertà e accudito dalla figlia.
In questo sonetto il tema dell’esilio raggiunge la massima realizzazione con l’identificazione del poeta con Ulisse, l’esule per eccellenza, colui che vagò, nell’opera di Omero, per anni e anni prima di poter rivedere la sua amata Itaca. Purtroppo, differenza di Ulisse, Foscolo non tornerà mai più a Zante.
I temi trattati sonetto sono gli stessi che ritroviamo nei maggiori sonetti e nel carme Dei sepolcri. Tra questi, il richiamo alla morte, presente anche in Alla sera e in In morte del fratello Giovanni.
A Zacinto di Foscolo: testo e parafrasi
Né più mai toccherò le sacre spondeOve il mio corpo fanciulletto giacque,Zacinto mia, che te specchi nell’ondeDel greco mar, da cui vergine nacqueVenere, e fea quelle isole fecondeCol suo primo sorriso, onde non tacqueLe tue limpide nubi e le tue frondeL’inclito verso di colui che l’acqueCantò fatali, ed il diverso esiglioPer cui bello di fama e di sventuraBaciò la sua petrosa Itaca Ulisse.Tu non altro che il canto avrai del figlio,O materna mia terra; a noi prescrisseIl fato illacrimata sepoltura.
Parafrasi
Non toccherò mai più le rive sacre dove visse il mio corpo di bambino, Zacinto mia, che ti rifletti sulle onde del mare greco da cui purissima nacque Venere, che rese feconde quelle isole con il suo primo sorriso, e (le onde) da cui cantò le tue chiare nubi e i tuoi boschi l’opera gloriosa del poeta che narrò il fatale andar per mare e il peculiare esilio, attraverso il quale, reso noto dalla fama e dalla sventura, Ulisse baciò la sua rocciosa Itaca. Tu, di tuo figlio, non avrai che il canto, o mia madre terra; per noi il fato ha voluto una sepoltura senza lacrime.
Analisi metrica e retorica
Il metro del sonetto segue lo schema ABAB ABAB CDE CED (due quartine a rima alternata e due terzine a rima invertita). A Zacinto si compone soltanto di due soli periodi (il primo, lunghissimo, occupa le prime due quartine e la prima terzina, e il secondo, confinato come sentenza finale, occupa l’ultima terzina). Questa caratteristica è piuttosto inusuale per un sonetto, in cui solitamente il periodo sintattico e il periodo metrico coincidono. Perché la prima lunga frase possa snodarsi su undici versi, Foscolo dilata il ritmo e la struttura del componimento tramite numerosi enjambement ("sponde / ove" vv. 1-2, "corpo fanciulletto / giacque" vv. 2-3, "specchi / nell’onde" vv. 3-4, "vergine nacque / Venere" vv. 4-5...) e una catena di subordinate (introdotte da "ove", "che", "da cui", "onde"...).
Il sonetto ha inoltre una struttura circolare, individuabile tramite:
- I tempi verbali impiegati: i primi e gli ultimi versi sono legati tra di loro grazie all’utilizzo del tempo futuro ("toccherò" v. 1, "avrai" v. 12), in contrapposizione con il passato impiegato al centro.
- La ripetizione della vocazione: due sono le apostrofi, una a inizio e una a fine componimento ("Zacinto mia" v. 3, "o materna mia terra" v. 13)
- L’utilizzo delle negative che incorniciano il componimento ("Né più mai" v. 1, "non altro che" v. 12)
Dal punto di vista retorico, il componimento non è caratterizzato solo da un ricco uso di enjambement, ma anche da una serie di altre figure di suono, ordine e significato.
Numerose anzitutto le allitterazioni (come ad esempio "sacre sponde" v. 1, "vergine Venere" vv. 4-5, "materna mia" v. 13) e le anastrofi ("Né più mai" v. 1, "greco mar" v. 4, "da cui vergine nacque / Venere" vv. 4-5, "colui che l’acque / cantò fatali" vv. 8-9).
Sia "greco mar" sia "colui che l’acque / cantò fatali" sono perifrasi; "sacre sponde" (v. 1), "limpide nubi" (v. 7), "fronde" (v. 7), "inclito verso" (v. 8) sono sineddochi, riferite rispettivamente all’intera costa e all’intera isola di Zacinto, al clima variabile della Grecia, ai boschi e all’intera Odissea. "Limpide nubi" è, inoltre, un ossimoro.
"Non tacque" al v. 6 è una litote.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: A Zacinto di Foscolo: parafrasi e analisi del testo
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