A meno che
- Autore: Carol Shields
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2003
Quando, dopo quasi quarant’anni di vita in un appartamento grande, si trasloca in uno più piccolo, è inevitabile precipitare nel caos. Tutto diventa troppo difficile da sistemare e il posto che servirebbe è sempre troppo poco! Diventa giocoforza, quindi, eliminare qualcosa e quando arriva il temuto momento dei libri è un vero dramma. Per la sottoscritta, che è reduce da poco da questa terribile esperienza, lo è stato eccome. Mentre ero intenta in questa dolorosa operazione, mi è capitato tra le mani il libro A meno che di Carol Shields (Ponte alle Grazie, 2003, p. 253, trad. P. Croci). Non è un thriller, non è un romanzo di avventure avvincenti, non è nemmeno un racconto pieno di incontri amorosi.
Reta Winters, la protagonista principale, anzi praticamente l’unica vera protagonista, vive a Orangetown, piccola cittadina nell’Ontario. Scrittrice e traduttrice, racconta con dovizia di particolari di come trascorre le sue giornate dividendosi tra il suo lavoro, i problemi di gestione della casa e gli impegni familiari derivanti da un marito medico condotto, due figlie adolescenti, un cane e una suocera vicina di casa. Una vita tranquilla, la cui descrizione appare al lettore quasi banale e noiosa. Niente avventure, colpi di scena, amanti nascosti; nulla che possa trasmettere quelle emozioni forti che, ammettiamolo, ogni lettore cerca quasi a ricompensa di ciò che manca nel suo quotidiano.
Anch’io, annoiata e un po’ delusa, stavo già per decretare la fine di questa improvvisa lettura, il cui contenuto mi sembrava scontato, a meno che (ecco che appare il primo a meno che) non comparisse a sorpresa l’unico particolare capace di rivoluzionare l’intera esistenza di questa donna.
Un dolore profondo, una pena continua che angustia il suo animo, che sconvolge la sua coscienza perché non riesce a capire la causa scatenante, provocandole così un segreto senso di colpa che la corrode. C’è una terza figlia, diciannovenne, bella, brava, tranquilla, che frequenta l’università nella vicina Toronto convivendo con un altrettanto bravo ragazzo e che un giorno, all’improvviso, senza nessun motivo apparente, pianta tutto, va a dormire in un ostello passando tutte le sue giornate (estate e inverno) seduta silenziosa a terra, a un angolo di una strada del centro. Chiusa ogni comunicazione col resto del mondo, compresi i solleciti e preoccupatissimi genitori, lancia un solo muto messaggio. Su un pezzo di cartone appare la scritta: “BONTÀ”.
Dopo tutti i disperati e inutili tentativi per recuperare la figlia e, soprattutto, per capire il perché del suo gesto, subentra una solo apparente rassegnazione e accettazione, perché bisogna salvaguardare il resto della famiglia e la vita deve in qualche modo continuare. In ogni gesto, però, in ogni discorso, in ogni azione di ognuno di loro traspare prepotentemente, anche se a fatica e soffocato, un "a meno che", col suo potere di condizionare l’esistenza e di spegnere ogni entusiasmo.
È a questo punto che ci si sente toccati, quasi con sorpresa e con un senso di rifiuto, dal racconto. Chi ha o ha avuto figli adolescenti sa perfettamente, ma allo stesso tempo lo rifiuta, che un fatto del genere potrebbe succedere anche a noi, anche se ci sentiamo genitori perfetti, anche se i nostri figli sono dei bravi ragazzi, anche se… Nelle migliori delle situazioni di vita dei giorni nostri, incombe sempre un a meno che.
"A meno che – scrive l’ autrice – è la voce dell’inquietudine. Ti sfiora l’orecchio come una falena: la senti appena, eppure tutto dipende da questo sussurro. A meno che: è la congiunzione inerte che porti con te, come una pietruzza nella piega di una tasca. Sempre presente, o assente".
Quindi, da questo punto in poi, la lettura diventa più interessante, più sciolta e veloce. Il ritmo diventa incalzante e ogni avvenimento, anche il più banale, viene interpretato con un nostro a meno che… Si aspetta con ansia una risoluzione e quando ciò avviene, nelle ultimissime pagine, è come finire una corsa sbattendo violentemente contro un muro, perché non ci è stata data la possibilità di frenare. La spiegazione del problema generatore di tanta sofferenza per tutti, secondo me, è troppo povera, troppo sbrigativa e forse anche un po’ troppo semplicistica. Peccato, perché questa fine così poco sviluppata rovina il giudizio positivo che il libro si era meritato non senza fatica. Forse bastava qualche pagina in più, qualche risposta in più o una conclusione più credibile sul rapporto tra causa ed effetto. Così si rischia di rimanere sempre con un A meno che di troppo.
A meno che
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