I masnadieri
- Autore: Friedrich Schiller
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
La notorietà del poeta, drammaturgo e pensatore tedesco Friedrich Schiller (1759-1805) è affidata al teatro, mosso da intenti etico-politici in quanto espressione di giustizia, libertà, alti ideali, il bene, il male, Dio, tanto che nell’Ottocento la borghesia tedesca fece di lui il suo autore anche sul piano scolastico. A fargli guadagnare, giovanissimo, la fama fu la tragedia in cinque atti I masnadieri (Die Räuber) pubblicata anonima in prosa nel 1781, rappresentata l’anno successivo con un clamoroso successo.
È del 13 gennaio 1782 la prima assoluta al Teatro Nazionale di Mannheim. Nata nell’alveo culturale dello Sturm und drang, la vicenda afferma il culto dell’individuo, il desiderio irrefrenabile di ribellione, un’esaltazione anarchica della libertà individuale, attaccando le istituzioni politiche e sociali perché il principio di autorità rappresentato dalla triade padre-sovrano-Dio viene minato dalle fondamenta. Una provocazione, la sua, che lo costrinse a cambiare aria e ad abbandonare la sua città. Iniziò una fase errabonda, angustiata da difficoltà economiche fino a quando si stabilì a Weimar. Qui nel 1787 incontrò Goethe, che contribuì a determinare la sua svolta verso un classicismo innervato da tensioni romantiche come dimostra l’inno Gli dei della Grecia.
La vicenda si svolge in un paio d’anni, in una Germania tardomedievale o cinquecentesca volutamente non specificata per evitare problemi con le autorità. Anticipiamo subito che in tedesco l’etimologia di masnadiero rimanda al verbo rubare e moor significa palude. La palude di una famiglia dove l’autorità paterna vacilla oppure quella del pubblico che necessita di una bella scossa emotiva?
Uno studente aristocratico, sognatore, bello e brillante, di nome Karl Moor, dalla vita irregolare e disordinata, decide di chiedere perdono al padre per la sua condotta libertina che lo ha disgustato. Con uno stratagemma il fratello secondogenito Franz, astuto, poco attraente e grande manipolatore, strappa al genitore l’autorizzazione a rispondergli, ma lo fa con una missiva falsa in cui lo ripudia e lo disereda (naturalmente il padre era disposto al perdono). Accecato dalla rabbia e dal desiderio di vendetta per l’ingiustizia subita e un temperamento insofferente contro la mediocrità borghese e la società - "Mi fa schifo questo secolo di scribacchini"- Karl diventa un masnadiero, cioè un bandito che vive di illeciti e ruberie. Diventa il leader naturale di un gruppo di studenti come lui, ex compagni di quelle goliardate anche piuttosto spinte alla ricerca di emozioni forti.
A ben vedere il passo da libertino a criminale è breve: si sottraggono entrambi alla morale, benché solo il secondo faccia ricorso sistematico alla violenza. Animato dalla velleità di riparare torti e ingiustizie altrui a suon di delitti e di ogni nefandezza, presto si accorge di avere ideato un piano folle votato alla sconfitta che lo ha trasformato in un reietto. Come si può liberare dal male il mondo, ricorrendo al male? Non esiste libertà fuori della legalità e della dignità del singolo. Ma è proprio nella caduta che la sua figura tragica si staglia in tutta la sua grandezza.
A seguire, in un parapiglia di sotterfugi, inganni, voltafaccia, mezze verità, agnizioni e tanta violenza, accompagnato da un lessico altrettanto violento, blasfemo e scandaloso, Karl torna sotto mentite spoglie al castello paterno dove, nel frattempo, il perfido fratello non solo ha tentato di sedurre la sua fidanzata Amalia, ma tiene prigioniero il padre.
L’epilogo è funestato da una catena di morti e una redenzione alquanto posticcia. Vediamo perché. Sul punto di essere catturato dalla banda vendicativa del fratello e atterrito dal castigo divino, il malvagio Franz si uccide. Quando si accorge che il figlio prediletto si è trasformato in un bandito, il padre muore di dolore. Fa una brutta fine anche la fedele Amalia, uccisa da Karl che si sente indegno del suo amore. A dire il vero è la ragazza a invocare la morte per non subire un secondo abbandono dall’uomo che ama. Karl non ha scelta perché non se la sente di disonorarla portandola con sé in una vita ex lege. Infine, pentito, si consegna alla giustizia.
È vero che il pentimento sembra una concessione alla censura e al moralismo dell’epoca, ma è altrettanto vero che il fascino del personaggio risiede nella ribellione totalizzante che fa di lui l’archetipo romantico del ribelle in equilibrio tra vittimismo e titanismo, quasi sdoppiato tra bene e male. Il suo tratto distintivo è un’ansia di libertà assoluta unita a un’ansia di grandezza, da intendere come potenziamento di una personalità eccezionale che lo spinge a vedere nell’ordine costituito un limite alla loro realizzazione. Di conseguenza il suo sogno superomistico può affermarsi solo nel male, infrangendo la legge. Ma c’è di più, perché la sua rivolta assume i connotati metafisici di una sfida all’autorità di Dio. E così, sulla scia di Satana del Paradiso Perduto di Milton (1667), secondo l’interpretazione di Mario Praz, Karl diventa una sorta di Lucifero, il primo ribelle che un orgoglio tracotante ha spinto contro il Creatore.
Il personaggio incarna alla perfezione il ribellismo dei giovani intellettuali tedeschi di fine Settecento, che avevano assorbito dal clima culturale europeo, pervaso dalle idee che porteranno alla rivoluzione francese, l’esigenza di profondi cambiamenti politici e sociali. Ma tale esigenza si scontrava con l’immobilismo politico della Germania a loro contemporanea e una borghesia immatura per un ruolo dirigente. La rabbia dei giovani intellettuali trova quindi uno sfogo e una compensazione consolatoria in aspirazioni cosmiche più o meno nebulose, in sogni di potenza e libertà senza limiti o nel vagheggiamento del rifiuto di ogni ordine costituito come accade nelle pagine de I masnadieri di Friedrich Schiller.
Questo lo sfogo di Karl a un sodale in un’osteria della Sassonia:
La legge ha fatto scadere a incesso [passo, incedere] di lumaca ciò che sarebbe stato volo di aquila. La legalità non ha mai prodotto un grand’uomo, ma la libertà cova e fa schiudere i colossi e i grandi eventi. I vigliacchi si trincerano nella pancia di un tiranno, fan la corte ai capricci del suo stomaco e si lasciano sballottare dalle sue flatulenze. Immagina un esercito di ragazzi in gamba come me, e la Germania diventerebbe una Repubblica in confronto alla quale Sparta e Roma sarebbero conventi di monacelle.
Certo, il sentimento patriottico contribuì non poco al successo della tragedia, che tocca temi fondanti quali l’attacco contro le istituzioni, la rivalità fatale tra fratelli, i pericoli derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare, la maledizione paterna a colpire l’eroe, la disgrazia peggiore nel mondo di Schiller. Tanto che era una delle opere preferite di Dostoevskij; non c’è da stupirsi.
La ribellione giovanile attraversa la letteratura del Novecento. In Due di due di Andrea de Carlo, Guido è un novello Ortis destinato all’autodistruzione, mentre il protagonista di Seminario sulla gioventù di Aldo Busi indirizza la sua contestazione nella trasgressione sessuale come alcune figure di Pier Vittorio Tondelli. Diverso il caso di Enrico Brizzi, perché il suo Jack accantona titanismo e tendenze anticonservative a favore di quella contestazione ludica propria del postmoderno.
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