Nel 1833 il sogno d’amore di Giacomo Leopardi per Fanny Targioni Tozzetti svanì per sempre. Dalla cocente delusione nacque A se stesso, una lirica ad alto tasso di drammaticità.
Leopardi scrisse questa breve poesia nel settembre 1833, a Firenze. Fu pubblicata per la prima volta nell’edizione napoletana dei Canti nel 1835.
La lirica appartiene al cosiddetto ciclo di Aspasia, l’ultima stagione poetica del poeta di Recanati, nel quale Leopardi concentra i temi della sofferenza amorosa, della morte e l’atroce insensatezza delle illusioni umane.
Aspasia era il nome con il quale il Conte di Recanati era solito chiamare Fanny Targioni Tozzetti, la nobildonna fiorentina per cui provò un sentimento assoluto e totalizzante, ma non corrisposto.
Scopriamo testo, parafrasi e analisi di A se stesso, il più struggente canto leopardiano.
A se stesso di Leopardi: testo
Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perí l’inganno estremo,
ch’eterno io mi credei. Perí. Ben sento,
in noi di cari inganni,
non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta omai. Dispera
l’ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Omai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l’infinita vanitá del tutto.
“A se stesso” di Leopardi: parafrasi
Ora, o mio stanco cuore, ti fermerai per sempre.
Anche l’ultima illusione (d’amore), che io credetti eterna, si spense.
Si spense.
Sento che in me non solo non c’è più la speranza delle illusioni, ma anche il desiderio stesso di averle è perduto.
Fermati per sempre.
Hai palpitato fin troppo.
Non esiste nulla che meriti i tuoi palpiti, né la terra è degna dei tuoi sospiri. Il mondo è fango. Adesso fermati. Dispera per l’ultima volta.
Tutto ciò che il destino ha donato al genere umano è la morte.
Ormai disprezza te stesso, la natura, il brutto potere misterioso che volge in dolore la vita di tutte le creature, e l’infinita inutilità di ogni cosa.
A se stesso di Leopardi: analisi del testo
La composizione di A se stesso, risalente al 1833, si inquadra in un preciso momento della vita di Giacomo Leopardi, quello che segna la fine di ogni speranza d’amore nei confronti di Fanny Targioni Tozzetti.
Nata Francesca Ronchivecchi, la nobildonna aveva sposato il medico e botanico Antonio Targioni Tozzetti, padre delle sue tre figlie.
Fanny è nota per aver trasformato la sua casa in via Ghibellina a Firenze nel salotto letterario più in voga dell’epoca, ma soprattutto per aver fatto palpitare il cuore, grande e fragile, del poeta recanatese.
Le fonti la descrivono bella, elegante e colta, ma anche piuttosto spregiudicata e avvezza alle storie extraconiugali.
Sembra che gli uomini non riuscissero a resistere al suo fascino e anche Leopardi ne restò vittima.
Infatuatosi di lei e illusosi di poterla conquistare, i suoi tentativi di ingraziarsela finirono però per scontrarsi con la dura realtà.
Questa storia sentimentale mai iniziata, portò alla composizione del cosiddetto ciclo di Aspasia, pseudonimo con cui Leopardi celò la vera identità della donna desiderata, un evidente riferimento all’etéra che nell’Antica Grecia aveva rapito il cuore di Pericle.
In tutto cinque poesie incentrate sul tema dell’amore e della morte oltre che su quelli ricorrenti, diciamo pure onnipresenti nella poetica leopardiana, della caduta e della vanità di ogni illusione.
Ed è così che dopo aver celebrato ne Il pensiero dominante e Amore e morte tutta la potenza del sentimento amoroso, Leopardi, devastato dall’inevitabile e amara constatazione della propria sconfitta di fronte "all’estremo inganno", si chiude in se stesso sfogando rabbia e delusione in pochi ma concitati versi.
A se stesso altro non è che un dialogo fra il poeta e il suo cuore.
Alla parte più intima e profonda di sé, l’autore, ormai completamente disilluso e in balia della disperazione più cieca, impone di abbandonare la vita e ogni barlume di speranza invitandolo invece a constatare l’insensatezza di tutto ciò che lo circonda.
Secondo gran parte della critica, A se stesso rappresenta l’apice del pessimismo leopardiano e in effetti la visione che se ne ricava è quella di un crescendo di disperazione senza neppure il minimo conforto, sebbene essa resti sempre lucida ed eroica.
Perché la consapevolezza della propria dignità morale non viene mai meno, esattamente come non vi è alcun tentennamento nell’accettazione coraggiosa della propria tragica condizione di uomo in contrapposizione alla sordida malignità della natura.
Lo stile e il metro della poesia, una unica strofa di endecasillabi e settenari, una sorta di unicum nella vasta produzione leopardiana, contribuiscono a renderne più evidente il significato, rafforzandolo.
Nessuna retorica elaborata, non la consolazione delle memorie e neanche la dolcezza del ripiegamento interiore rischiarano, almeno in parte, la cupezza di A se stesso, che si compone di frasi brevi, tronche, spezzate, che a volte danno un senso di incompletezza e l’impressione di restare come sospese.
Il ritmo è duro, vigorosamente cadenzato, non ci sono né immagini né abbandoni che possano in qualche modo mitigare la raggelante asprezza del verso, scarno ed essenziale, espressione formale e tangibile dello stato d’animo di un Leopardi la cui unica aspirazione, ormai, è il raggiungimento della suprema indifferenza, al di là e al di fuori di ogni vana e illusoria speranza.
“A se stesso”: figure retoriche
A se stesso, esattamente come accade nell’intera produzione poetica leopardiana, si costituisce di una versificazione complessa, carica di figure retoriche e improntata a un linguaggio aulico e articolato.
Essa si compone in tutto di 15 versi endecasillabi la cui continuità è spesso interrotta da enjambements, un espediente che contribuisce a renderne più incalzante il ritmo, di cui colpisce la marcata intensità.
Un effetto ulteriormente amplificato dalla punteggiatura fortemente cadenzata e dalle figure retoriche presenti, ovvero:
- "Stanco mio cor" è un’apostrofe e anche un’anastrofe, per cui vi è l’inversione dei termini sintattici della frase con l’aggettivo posto prima del nome;
- "Perì... perì" è un’anafora;
- "I moti tuoi" è un’anastrofe, di nuovo inversione aggettivo/nome;
- "La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo" è un chiasmo che contiene anche una metafora, il mondo viene infatti identificato come “fango”, una melma putrescente.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “A se stesso” di Giacomo Leopardi: testo, parafrasi e analisi della poesia
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