La sera del dì di festa è una poesia di Giacomo Leopardi che fa parte delle liriche dei Canti. Il componimento è datato (con alta probabilità) 1820 e dovrebbe essere stato composto a Recanati.
Il tema centrale di questa poesia è la riflessione di Leopardi in merito all’infelicità della vita, espressa anche grazie all’immagine di una donna indifferente nei suoi confronti e lontana. Un ruolo fondamentale è assunto dalla percezione uditiva, che porta il poeta a meditare sul fatto che ogni esperienza o realtà umana svanisca col passare del tempo, che quieta e silenzia sia il dolore sia le gesta delle persone.
Vediamo ora testo, analisi e parafrasi de La sera del dì di festa di Giacomo Leopardi.
Testo de La sera del dì di festa di Leopardi
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t’accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m’affaccio,
E l’antica natura onnipossente,
Che mi fece all’affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da’ trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell’artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov’è il suono
Di que’ popoli antichi? or dov’è il grido
De’ nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio
Che n’andò per la terra e l’oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s’aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s’udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.
“La sera del dì di festa”: la parafrasi
La notte è serena, mite e senza vento e la luna, tranquilla, illumina i tetti e i giardini, rivelando in lontananza le montagne, anch’esse quiete. O mia donna, ogni strada a quest’ora è silenziosa, e sui balconi le lampade notturne brillano fioche: tu dormi, dato che il sonno ti ha accolta senza problemi nelle tue quiete stanze e non hai alcuna preoccupazione, né sai o immagini quale grande ferita mi hai aperto in mezzo al petto.
Tu dormi: io invece mi affaccio a salutare questo cielo, che sembra così benevolo a vederlo, e la natura onnipotente ed eterna, che nel mettermi al mondo mi ha condannato al dolore. Mi disse: "A te nego persino la speranza, e i tuoi occhi non brilleranno se non per le lacrime".
Questo è stato un giorno di festa: e ora finalmente riposi dai divertimenti, e forse in sonno ti ricordi a quanti ragazzi sei piaciuta e quanti sono piaciuti a te: sicuramente tra loro non ci sono io, né mi illudo che ciò possa avvenire. E intanto io mi domando quanto mi rimanga da vivere, e mi getto per terra e grido e fremo. Che giorni orrendi in un’età tanto florida! Ahi, per la strada sento non lontano il canto solitario dell’artigiano, che torna a casa a tarda notte dopo essersi divertito; e il mio cuore si stringe crudelmente al pensiero di come tutto sia transitorio e non lasci alcuna traccia di sé.
Ecco, il giorno di festa è finito, e a ogni giorno festivo subentra un giorno di lavoro, e il tempo trascina via con sé tutti gli avvenimenti umani. Ora dove si trova il rumore dei popoli antichi? Dove si sente ora la voce dei nostri famosi antenati, e il grande impero di Roma, e gli eserciti, e il fragore che invase la terra e il mare? Tutto oggi è pace e silenzio, e il mondo intero riposa, e nessuno si preoccupa più di loro.
Da piccolo, quando si aspetta con trepidazione l’arrivo di un giorno di festa o non appena era terminato, insonne e sofferente, rimanevo a letto disteso; e a notte fonda un canto, che si sentiva per i sentieri morire a poco a poco in lontananza, già mi stringeva il cuore come oggi.
La sera del dì di festa: commento
La sera del dì di festa è parte dei sei idilli di Giacomo Leopardi pubblicati nell’edizione del 1826 di Versi (qui anche Alla luna, Il sogno e L’infinito).
Ci sono due grandi temi attorno ai quali ruota il componimento: l’infelicità percepita dal poeta, che si sente escluso dalle gioie della vita e della sua giovinezza, e il passare del tempo, che annienta qualsiasi cosa sia stata fatta dall’uomo.
Questi temi, cari a Leopardi, compaiono in tutte e tre le strofe di cui si compone la poesia. Nell’immaginario del poeta la contrapposizione tra la gioia del giorno festivo e la delusione del ritorno alla normalità lavorativa è un tema fondamentale che si sviluppa per tutto il componimento.
Nella prima strofa Leopardi apre con una visione quieta: la descrizione di un paesaggio notturno come ce ne sono tanti. In questo caso c’è un rimando a molte delle poesie di poeti latini e greci o anche Petrarca.
Il ritmo all’inizio della poesia è volutamente rallentato grazie all’utilizzo di una serie di aggettivi e di congiunzioni che anticipano il nome a cui fanno riferimento.
Come nella stragrande maggioranza della poesia romantica europea, Leopardi ci presenta un paesaggio notturno, che procura come un senso di indeterminatezza e che fa da sfondo a ciò che il poeta ha da confessare sulla donna che ha preso il posto nel suo cuore, rendendolo preda di un amore non ricambiato.
Dopo aver presentato il paesaggio notturno, Leopardi utilizza un lessico di tipo amoroso per descrivere la donna che, indifferente ai suoi sentimenti, dorme tranquilla e incurante delle sofferenze di lui.
Nella parte finale della strofa Leopardi dà alla natura la colpa di ciò che gli sta succedendo, come se questo amore non corrisposto fosse frutto del fatto che Leopardi — e con lui tutti gli uomini — è stato creato e messo al mondo solo per soffrire.
Nella seconda strofa Leopardi approfondisce questa delusione amorosa che sta vivendo e la collega in maniera diretta, come già accennato, al volere della natura, che lo esclude da tutte quelle che sono le gioie dell’esistenza.
In questa parte della poesia il poeta esprime la propria disperazione in maniera sempre più decisa, arrivando a dire che si butta a terra, grida, freme. Alla fine della strofa compare un primo elemento uditivo che proviene dall’esterno, il canto solitario di un artigiano che ritorna a casa dopo una notte di divertimenti in giro.
Analogamente a come accade ne L’Infinito o ne La quiete dopo la tempesta, lo stimolo uditivo induce Leopardi alla riflessione su quanto le cose e le vite umane siano fragili e poco importanti e su quanto poco lascino il segno nel mondo, preda del caso e non delle intenzioni e delle azioni dell’essere umano.
La terza e ultima strofa de La sera del dì di festa si avvia con una considerazione tragica su quanto il tempo abbia un potere distruttivo sull’operato dell’uomo, arrivando a cancellare anche le sue più grandi gesta come, per esempio, quelle dell’antica Roma.
Ci sono una serie di domande retoriche e drammatiche che irrompono nella mente del poeta e che, alla fine, lo riportano alla rassegnata pace e al silenzio che caratterizzano il paesaggio notturno di inizio poesia.
A questo punto Leopardi rievoca un ricordo del suo passato, suscitato dal canto dell’artigiano, che rivela come il giorno festivo, nel suo passare, lasci una grandissima insoddisfazione in chi lo ha vissuto, che si appresta a vivere di nuovo un giorno ordinario. Questo ricordo fa ancora male al poeta e lo rende ancor più consapevole dell’amara esistenza che è costretto a vivere.
Come ne Il sabato del villaggio, Leopardi si sofferma sul ricordo, ma la differenza tra i due componimenti è però sostanziale. Ne La sera del dì di festa Leopardi focalizza la sua attenzione sulla delusione che segue ogni evento molto atteso, non si racconta l’evento o il desiderio di esso. Diversamente, nel Sabato del villaggio si incentrata proprio sul piacere che ci pervade quando attendiamo un evento particolare.
Recensione del libro
Qualcosa
di Chiara Gamberale
Analisi metrica e retorica
La sera del dì di festa è composta da 46 endecasillabi sciolti. Il testo è tramato di figure retoriche. Tra le principali:
- sinestesia: "dolce [...] è la notte" (v. 1)
- ossimoro: "chiara è la notte" (v. 1)
- enjambement: sono numerosissimi tra i versi (es. vv. 3-4, 8-9, 11-12, 14-15, 25-26, 30-31, 31-32, 33-34, 34-35, 35-36, 38-39)
- apostrofe: "O donna mia" (v. 4)
- anafore: "tu dormi" (vv. 7 e 11), "or dov’è" (vv. 33-34)
- metafora: "così verde etate" (v. 24)
- metonimie: "già tace ogni sentiero" (v. 5), "piume" (v. 43)
- chiasmo: "è fuggito / il dì festivo, ed al festivo il giorno / volgar succede" (vv. 30-32)
- prosopopea: "A te la speme / nego, mi disse, anche la speme" (vv. 14-15)
- climax: "mi getto e grido e fremo" (v. 23)
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La sera del dì di festa” di Leopardi: parafrasi e analisi del testo
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