A tempo scaduto
- Autore: Laura Segnalati
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2016
Apparso nel 2016 per i tipi Tabula Fati, casa editrice di Chieti, A tempo scaduto (collana “Collezione Giallo”, 151 pagine) è un poliziesco pubblicato sei anni fa, ambientato nella Repubblica di Salò, quindi nella parte finale della seconda guerra mondiale, nell’Italia del Nord occupata dai tedeschi.
Era il primo romanzo per Laura Segnalati, convinta che non sarebbe rimasto l’ultimo.
Milanese d’adozione da quarant’anni, ma nativa della provincia parmense, si è ripetuta infatti nel 2020, con un titolo nella collezione Sci-Fi Tabula Fati, Le zampe del centauro e ancora nel 2021, con un romanzo fantasy. Innamorata della fisica e della matematica, ha intrapreso però studi classici, greco, latino, anche ebraico in età più matura, appassionata di storia, filosofia, arte, in pratica di tutto il percorso dell’uomo nel mondo e le tracce dell’umanità.
Milano è anche la sede di servizio del commissario di polizia di radici meridionali che nel novembre 1944 affronta un caso, un delitto che non gli sembra affatto chiaro e scontato, come vorrebbero invece tanti che contano nell’amministrazione mussoliniana.
Nel capoluogo lombardo, spesso sotto le bombe degli Alleati e sempre sotto il tallone dei tedeschi, l’effetto della guerra si avverte in ogni momento e si riflette in ogni aspetto della vita quotidiana, ma quello ch’è peggio è la mancanza di generi alimentari, anche alimenti ordinari. Ines, l’affittacamere dal fisico adolescenziale con cui convive nei pressi del Commissariato, lamenta ogni giorno di non riuscire ad acquistare più niente. Fanno i difficili anche i borsari al mercato nero, trovano certamente qualcuno che paga di più.
Tocca accontentarsi di castagne bollite, il pane dei poveri e di cattive paglie di tabacco scuro. Invece a Napoli fumano sigarette americane bionde: i viveri di conforto dei militari yankee confortano anche italiani e italiane. Lo stesso a Roma e a Firenze.
Camel e Lucky Strike, presto le avrebbe fumate anche lui. Intanto, pazienza per le cicche ma al resto gli tocca provvedere. Forse è l’unico commissario di polizia a non avere assaggiato nell’ultimo anno un cucchiaio di marmellata o una tazza di caffè.
La vittima è la moglie di un gerarca di Salò. Il referto approssimativo dell’autopsia, che estende il decesso dall’una alle cinque e la trascuratezza con cui la Milizia ha raccolto le prove la dicono lunga sulla disattenzione con cui si guarda al caso, visto che un colpevole c’è già, bello e pronto, quel povero Galletti che ha rinvenuto il cadavere e avvertito la polizia. In galera, sta pagando un prezzo troppo alto per la sua stupidità, pensa il commissario. Non lo considera di sicuro un delitto passionale.
Gli uomini uccidono per interesse, odio, paura, a volte per un’idea, altre per il gusto di farlo. Amore e gelosia non sembrano motivazioni da tempo di guerra. La donna voleva lasciarlo? Lui voleva lasciare lei? Altro contro il Galletti non avrebbero potuto inventare i superiori superficiali, non essendo riusciti in un mese a provare il furto, niente di niente. E i tempi non tornano, dando retta a quattro o cinque testimonianze, ma sui tempi non sono stati nemmeno a sentirlo.
L’unica colpa del Galletti, è stata mettersi con quella donna. Con tutte quelle che c’erano a Milano, si era presa per amante la moglie di un pezzo grosso.
Le telefonate chiedevano un’efficienza impossibile. “Esigiamo”, “non saranno tollerate esitazioni”, intimava la voce all’altro capo del filo. Un arresto tempestivo salvaguardava il prestigio della polizia e dello Stato.
Il commissario riflette che di quei tempi, davanti alle mani sporche di sangue di un Duce che aveva a suo carico troppi morti, caduti per lui e adesso anche contro di lui, sembra meno colpevole l’assassino della Morbegni. Ha ucciso di sua mano. E una volta sola.
In casa della vittima sono stati rinvenuti materiali per falsificare carte d’identità. È una traccia. Probabilmente si contraffacevano altri documenti fasulli: passaporti, lasciapassare, tessere annonarie.
Nessuno aveva visto o sentito niente di strano, forse un tonfo che non era proprio un tonfo e un altro aggiungeva uno sciacquio, a notte fonda. Il letto sfatto indicava che la Morbegni si era coricata, sempre dopo la mezzanotte, per via dell’insonnia. Assumeva regolarmente un sonnifero, come confermano gli inquilini che la conoscono meglio. Improbabile un ladro occasionale, mentre la scoperta del timbro rafforza l’ipotesi di un conoscente. La serratura forzata non convince, lo scasso era stato artefatto senz’altro dopo. La ferita al collo aveva gettato sangue copiosamente, l’omicida non poteva non essersi macchiato. Tutto trascurato, per passare avanti velocemente.
La figura del commissario è uno degli aspetti più convincenti di un romanzo interessante, condotto con una tecnica narrativa piacevolmente matura per appartenere a un’autrice esordiente (allora).
Il carattere tutt’altro che scontato di un funzionario pubblico investigativo cresce pagina dopo pagina, fase dopo fase, nella vicenda che corre verso la fine della guerra. Si arriva alla primavera 1945 della Liberazione. Il commissario vi si avvia incapace di sopportare quanto accade intorno. La paura non c’entra, ancora meno i rimpianti. Dal fascismo non si è allontanato per un misto di passività e sfiducia in ogni futuro possibile e poi perché se ne andavano tutti. Non considera alternative o non è riuscito a darsele.
A tempo scaduto
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