

Antiterrorismo. Conflitto sociale e “fine della storia” in Italia (1968-1992)
- Autore: Elio Catania
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2025
La traduzione storica della “rivoluzione mancata” negli anni Settanta raffigura un esempio della trascuratezza con cui, in Italia, si tramandano alla memoria i temi sensibili antecedenti e discendenti dal “lungo Sessantotto”. Il primo postulato strumentale, di solito sorvola sulla storia oscura della nazione, tratteggiando lo Stato come martire di un disegno eversivo dai connotati criminali o psicopatologici. Il secondo postulato è concettuale, prima ancora che semantico: accorpa con il termine “terrorismo” l’estremismo armato di sinistra e lo stragismo di destra, quest’ultimo spesso operante - peraltro - con la compiacenza di servizi deviati dello Stato. Da siffatta miopia interpretativa discende l’aggettivazione di “anni di piombo” per un decennio, invece, di fervore e trasformazione sociali. Come credo possa dimostrare il sintetico elenco di traguardi civili raggiunti in quel periodo:
- 1970: legge sul divorzio e statuto dei lavoratori
- 1974: referendum per il mantenimento del divorzio e decreti delegati nella scuola
- 1975: riforma del diritto di famiglia e istituzione dei consultori
- 1978: istituzione del servizio sanitario nazionale e legge Basaglia che determina la chiusura dei manicomi.
Ma la storia degli anni Settanta è anche una storia giuridica, dettata da governi concentrati sulla repressione del conflitto sociale, gestita con indiscriminata simmetria, sia che riguardi la sfida “terroristica” lanciata alle istituzioni, sia la protesta di piazza. Leggi muscolari, carceri speciali e azioni poliziesche talvolta più simili a fredde esecuzioni che a interventi di tutela dell’ordine costituito, rappresentano le contro-misure punitive di uno Stato tutt’altro che vittima passiva della lotta armata. Scrive Elio Catania, a introduzione del suo nuovo Antiterrorismo. Conflitto sociale e “fine della storia” in Italia (1968-1992) (Meltemi, 2025):
[…] la vicenda della lotta armata rivoluzionaria in Italia degli anni Settanta […] rappresenta tutt’oggi un fenomeno storico ricordato e raccontato in una accomunazione confusa con l’estremismo di piazza e il movimento della cosiddetta ‘illegalità diffusa’, descritti genericamente secondo le macrocategorie a sfondo morale del ‘terrorismo’ e della ‘violenza politica’; ciò che viene negato è la possibilità stessa di una comprensione storica del fenomeno, su cui vige la damnatio memoriae estesa all’intera sfera della conflittualità […] ridurre il terrorismo nero e la lotta armata di sinistra a una comune spirale di destabilizzazione e a una reciprocità causale è storicamente fuorviante e scorretto, per diverse ragioni: la prima è che questo tipo di analisi esclude completamente lo Stato, nelle sue differenti ramificazioni impegnate sul fronte dell’ordine pubblico e della sicurezza – Forze dell’ordine, intelligence e magistratura –, relegandolo al ruolo di obiettivo o mero soggetto passivo, quasi di cornice di svolgimento dei fatti, privo di cultura politica e finalità da perseguire, se non la generica tutela di sé e dell’ordinamento democratico, come beni giuridici supremi.
Il saggio di Catania va avanti di questo passo storico: minuzioso, oggettivo, coniugato a partire dai concetti opposti e paralleli di terrorismo e antiterrorismo, in fondo facce della stessa medaglia. Fatti salvi i trascurati distinguo (non certo da Catania, tutt’altro) relativi al primo, un’accezione matura di antiterrorismo dovrebbe risalire ad ambiti di governo (polizia, corpi speciali, codici speciali, legittimità concessa alla protesta, soprattutto legittimità concessa della protesta) attraverso cui uno Stato, sedicente democratico, dovrebbe relazionarsi non soltanto con l’estremismo della lotta armata ma anche col conflitto sociale e la violenza politica. Dato che un conto è rispondere al fuoco durante un conflitto armato, un altro sparare altezza uomo su una folla di dimostranti, o a una “terrorista” ormai arresa e disarmata (Mara Cagol a Cascina Spiotta).
Ulteriormente chiarificativo della questione potrebbe risultare un passaggio dell’articolata prefazione al volume di Elia Zaru, che scrive:
Terrorismo e antiterrorismo, osserva Catania, rappresentano una coppia concettuale inseparabile. Essi si modellano a vicenda, ma dirimente risulta essere l’interpretazione che l’antiterrorismo dà del fenomeno che vuole combattere. Qui iniziano i problemi, alla luce della sovrapposizione tra terrorismo e conflitto sociale di cui si è detto sopra. Attraverso l’analisi e la ricostruzione dell’evoluzione storica di quell’insieme di pratiche e ideologie che va sotto il nome di ‘antiterrorismo’ nell’Italia repubblicana, infatti, il libro di Elio Catania mostra un tratto di continuità strutturale, per così dire, che lega la Repubblica al Ventennio fascista e al Regno. Non si tratta solo dell’annoso problema relativo alla mancata epurazione dopo la sconfitta del fascismo, ma del perdurare di certi orientamenti legislativi considerati interesse di uno Stato nel suo complesso, a prescindere dal regime politico adottato.
Antiterrorismo è dunque una dettagliata ricostruzione storica delle (controverse) politiche di sicurezza che segnano la parabola dell’antiterrorismo italiano. Dalla fine degli anni Sessanta fino al 1992, anno-simbolo che Elio Catania appella (a ragion veduta) come “fine della Storia”: l’Unione Sovietica è collassata, la Guerra Fredda finita, in Italia è finita in manette anche la Prima Repubblica, da qui in avanti si millanta il superamento dello scontro sociale, e all’orizzonte non si intravedono sistemi alternativi al sistema liberista, instaurato su scala planetaria. S’avanza il tempo della dittatura del Capitale e nessuno che protesti più.

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