Antropologia del turchese
- Autore: Ellen Meloy
- Genere: Letteratura di viaggio
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
Cos’è che ci attira di un luogo? Cos’è che ci spinge a definirlo come “casa”? È questo l’interrogativo trainante delle riflessioni contenute all’interno di Antropologia del turchese, la raccolta di saggi di Ellen Meloy che inaugura la collana di Edizioni Black Coffee This Land, “un contenitore di storie legate al paesaggio americano e alle persone che lo abitano”, come si può leggere sulla quarta di copertina del volume tradotto da Sara Reggiani.
La chiave per la piena comprensione del testo sta, infatti, esattamente nella prima parola del titolo, antropologia: come noto, si tratta della scienza che si prefissa di studiare l’essere umano in quanto individuo o in quanto membro di una comunità. Sulla scorta di questa definizione, Meloy intraprende pertanto un’indagine dell’uomo nel suo rapporto con la natura; potremmo tuttavia rischiare di cadere nel banale, se dicessimo che questo libro tratta della famigerata wilderness che tanta letteratura naturalistica ha generato negli anni, da Thoureau in poi. Di fatti, la scrittura di Ellen Meloy va oltre l’approccio “classico” al rapporto uomo-natura selvaggia.
I saggi che compongono la raccolta non esprimono una relazione di antinomia natura selvaggia/modernità, né la ricerca di un desiderio di liberazione e di fuga dagli schemi della società consumistica; al contrario, in un periodo storico di forti cambiamenti climatici, di stravolgimenti e scompensi naturali che mettono a repentaglio il pianeta in cui abitiamo, Antropologia del turchese evoca un nuovo approccio all’ambiente che ci circonda, all’insegna dell’immersione sensoriale in esso. Il libro può definirsi come un viaggio sinestesico e sentimentale attraverso i grandi spazi americani, dalla California, passando per il Colorado, il deserto del Mojave fino a giungere alle Bahamas e allo Yucatan. Meloy, scrittrice che con questo libro è entrata fra i finalisti del Premio Pulitzer nel 2003, cerca di raccontare il suo rapporto intimo con quei luoghi che percepisce come “casa” e per farlo si appella alla percezione sensoriale, alle rifrazioni di luce, ai colori impressi nella nostra retina che elaborano istantanee nella nostra memoria: “
Le nostre percezioni sono e sempre saranno l’unica vera mappa del mondo di cui disponiamo. Le nostre cellule dialogano col paesaggio, condividono con esso un legame di sangue”.
Rifacendosi anche alla Teoria dei colori di Goethe, Antropologia del turchese esprime la bellezza di tutta la tavolozza dei colori di cui si compone l’ambiente:
“I colori sono luci dotate di precise lunghezze d’onda, sono misteri profondi che risuonano di una soggettività sconfinata”.
La soggettività d’altronde sta alla base anche della definizione del turchese, colore sfuggevole, a metà strada fra il blu e il verde, variabile alla vista di ciascuno di noi:
“La turchese è una pietra cangiante. Può essere trasparente o mutare tonalità a seconda di chi la porta. È una gemma empatica. È apprezzata non tanto per la sua durezza o traslucidità, ma per il suo colore e gli effetti che ha sul cuore”.
Sono gli effetti sul cuore che determinano quindi il nostro rapporto con l’ambiente: è questa la novità del libro, la ricerca di una immedesimazione completa con la natura, il bisogno di ri-creare una comunione di sensi con essa. In definitiva, un approccio empatico, sensoriale e sensitivo ai luoghi:
“Mentre nuoto nel mare turchese, caldo e sensuale, sento che potrei dissolvermi in ogni momento e diventare anch’io colore. Quest’acqua limpida, questo azzurro ultraterreno, vorrei imprimerli nella retina, così che ovunque andrò la loro incantevole, dolorosa purezza sarà sempre con me”.
L’occhio critico della scrittrice è molto sensibile, alterna dettagli storici, paesaggistici e cromatici a riflessioni secche e decise:
“Ho imparato che intasando di dighe il Glen Canyon abbiamo barattato un paesaggio di roccia vermiglia con ospedali più efficienti, illuminazione di sicurezza nei parcheggi di Kmart, lattuga a gennai e ghiaccio per i frigoriferi portatili come quello sul mio gommone”.
Attraverso la sua “sensibilità estetica”, Ellen Meloy ci fornisce dunque un nuovo paradigma da aggiungere alla “lista dei mezzi per salvare il mondo”. L’immedesimazione sensoriale con il paesaggio è il punto di partenza per ribaltare in maniera definitiva l’approccio biofilo e biocentrico, o quantomeno per modificarlo nell’ottica di una maggiore sostenibilità che ponga fine all’appropriazione e allo sfruttamento indiscriminati: l’immersione nella natura come nuova espressione di un senso di appartenenza al pianeta e di comunione con esso.
“Trattare la natura come un animale domestico o una psicologa equivale a trattarla come una schiava. Il rispetto presuppone reciprocità. Uomini e donne amanti della natura dovrebbero essere pronti a difendere i luoghi che dicono di amare. O non si guadagneranno mai il diritto di reclamarli come propri. Quando facciamo ritorno a casa con gli occhi pieni di cieli stellati e fiumi lucenti, è per loro che dobbiamo lottare, a loro nome dobbiamo fare pressioni su politici e altri invertebrati perché smettano di blaterare e per una volta agiscano per ciò che conta davvero, ossia l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, l’ambiente in cui ci muoviamo. Dobbiamo impugnare il paradigma biocentrico, dare voce a chi non ha, arrestare questa insensata emorragia di terre selvagge prima che scompaiano del tutto dal pianeta”.
Richiamandosi a una delle definizioni di scrittura naturalistica offerte dall’autrice, Antropologia del turchese è quindi
“l’antibiotico contro una sorte avversa, parole ed esperienze che ci rammentano del legame vitale che intratteniamo con il pianeta, dandoci così la possibilità di rimediare agli errori e rendergli onore”.
Sta tutta qui la portata di questo fiume di riflessioni e pensieri che, attraverso i paesaggi desertici degli Stati Uniti, esplora la nostra relazione con l’ambiente e invita ciascuno di noi a ripensare con occhi nuovi il rapporto con la nostra “casa” comune.
Antropologia del turchese. Riflessioni su deserto, mare, pietra e cielo
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