Arabia Felix
- Autore: Thorkild Hansen
- Genere: Letteratura di viaggio
- Categoria: Narrativa Straniera
Thorkild Hansen (scrittore, giornalista, archeologo ma soprattutto viaggiatore) pubblica Arabia Felix nel 1962, riscuotendo immediatamente un notevole successo, sia perché si tratta di un genere letterario piuttosto insolito ed attraente per l’epoca (la narrativa di viaggio) sia perché in esso si narra della prima spedizione danese realmente avvenuta nel 1761 avente come meta l’attuale Yemen.
“Una mattina d’inverno senza vento, il 4 gennaio 1761, un gruppo di cinque persone in abito da viaggio lascia in barca a remi la dogana per la rada del porto di Copenhagen.”
Si apre in questo modo il dettagliato racconto dell’avventurosa missione scientifica e culturale in quella che fin dai tempi dei Romani veniva chiamata “Arabia Felix”, l’Arabia Felice. La missione ha come scopo quello di presentare alle autorità scientifiche e culturali europee, nonché in prima persona al Re di Danimarca, le loro scoperte in tutti gli ambiti del sapere, collezionando ed inviando i loro reperti ed i loro manoscritti.
Nei primi capitoli il linguaggio tecnico, ricco di minuziose descrizioni, e il tono pacato di Hansen possono rendere la lettura priva di vivacità, tuttavia la forza di questo incredibile racconto di viaggio sta nella storia del viaggio stesso e nelle peripezie che i cinque protagonisti devono affrontare (e che hanno realmente affrontato più di tre secoli fa).
Lo Skagen a nord, l’Atlantico fino allo stretto di Gibilterra, e poi Costantinopoli, l’Egitto, Suez, il Mar Rosso ed infine
“la punta estrema della penisola arabica, nel paese meraviglioso dell’incenso, del balsamo e della mirra, quel paradiso terrestre che il giovane Alessandro sognò di conquistare ma dove nessuno è mai stato, neppure il giovane Alessandro e che, forse proprio perché nessuno vi è stato, porta fin dall’antichità il nome di Arabia Felix, l’Arabia Felice”.
Fin da subito, nonostante gli screzi dovuti all’inevitabile convivenza, un filologo, un fisico-botanico, un ingegnere, un medico e un pittore si rendono conto che
“al Cairo non basta andare in giro vestiti da Arabi, o parlare arabo. Bisogna anche vivere alla maniera degli Arabi, mangiare il loro cibo, dormire sulle loro stuoie di paglia”.
Adattarsi alla vita della gente comune, rinunciare ai privilegi, interagire con la popolazione: una carta che risulta senza dubbio vincente agli intrepidi ma inesperti viaggiatori settecenteschi (e sempre valida anche per i viaggiatori dei giorni nostri). Ma non basterà solo questo per raggiungere la gloria una volta tornati in patria dopo anni di lungo peregrinare trasportati da navi di fortuna, a dorso di cammello o semplicemente a piedi.
Tuttavia, ciò che i cinque protagonisti cercano durante il loro viaggio non risiede nelle loro scoperte, bensì nella risposta alla grande domanda che solo uno di essi riuscirà a trovare: perché l’Arabia viene chiamata “felice”?
Infatti,
“[…] se la felicità si trovasse anche solo nel paese più lontano e il viaggio per raggiungerlo comportasse i più grandi rischi e potesse essere intrapreso solo a prezzo dei peggiori sacrifici, partiremmo comunque subito”.
“Arabia Felix” (Iperborea, 1992)
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