Arditi, alpini, bersaglieri e Brigata Sassari nella Battaglia dei Tre Monti sull’Altopiano di Asiago il 28-31 gennaio 1918
- Autore: Paolo Gaspari
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
Monte Valbella, Col del Rosso, Col d’Echele sull’Altopiano di Asiago, l’anti-Caporetto nella tradizione militare italiana, quanto il Piave ma senza tracce nella memoria collettiva. Eppure, nel gennaio 1918, sui Tre Monti, come vennero chiamati per sintesi, si è manifestata con sorpresa per il nemico la voglia di riscatto dell’esercito tricolore dopo la rotta dal confine carnico-triestino al fiume sacro, al Grappa e all’Asiaghese.
Lo storico della Grande Guerra ed editore udinese Paolo Gaspari ha dedicato all’episodio di oltre un secolo fa uno dei suoi saggi accurati di storia militare, Arditi, alpini, bersaglieri e Brigata Sassari nella Battaglia dei Tre Monti sull’Altopiano di Asiago il 28-31 gennaio 1918, pubblicato nella collana “La storia” raccontata e illustrata (Gaspari editore, luglio 2022), con dovizia di fotografie in bianconero, cartine e disegni nelle pagine formato album (21x26 cm).
Tre giorni di esemplare ancorché sanguinosa capacità combattiva. Una prova di disciplina militare e ardimento da parte di un’aliquota dell’esercito tutto sommato ridotta - 8mila sardi della Sassari, Brigata d’assalto di fanteria, 3500 arditi, 5mila bersaglieri, 2mila alpini - ma rappresentativa degli altri milioni di arruolati in grigioverde, ora affidati al gen. Armando Diaz, dopo due anni e mezzo di “spallate”, improduttive o poco più, ordinate da Luigi Cadorna.
Nella prefazione, lo storico Paolo Pozzato insiste sulla marginalità del territorio dal punto di vista storico e fa il punto della situazione bellica, in quell’avvio del 1918. Prima della guerra, il complesso dei Tre Monti, nell’Altopiano dei Sette Comuni, non aveva nemmeno un nome. Lo deve al generale sardo Carlo Sanna, che ha battezzato così quel settore, entrato tardi in scena nel conflitto.
Coinvolto solo marginalmente ma drammaticamente dalla Strafexpedition austriaca del 1916 dal Trentino, divenne teatro di un’offensiva a dicembre 1917, “regalata” al feldmaresciallo Conrad sull’Altopiano di Asiago, quando il fronte si era ormai stabilizzato dopo la ritirata italiana nel Veneto. Il condottiero viennese chiese uno sforzo all’Eiserne Korps, che a giugno si era distinto sull’Ortigara: l’eliminazione del saliente delle Melette. La spinta superò le aspettative. Solo la mancanza di riserve vietò ai kaiserjäger di far cadere anche l’ultimo baluardo prima della pianura veneta.
Gli italiani erano abbarbicati al piccolo altopiano dei tre monti sconosciuti, che sovrastavano l’accesso a Valstagna come un’ellisse sui 1300 metri. Fu lì che si concentrò l’attenzione dei nuovi vertici del Regio Esercito.
Il triumvirato Diaz-Giardino-Badoglio volle dimostrare soprattutto al presuntuoso alleato francese che oltre a difendersi, l’Italia post Caporetto era capace di riprendere un’operazione offensiva. Sull’Altopiano si doveva vincere perciò a ogni costo, non solo per valide ragioni tattiche (ridare profondità alla difesa, porre le basi per riprendere iniziative più ampie, gelare l’entusiasmo austro-ungarico), anche per difendere il ruolo dell’Italia di alleata alla pari, visto che oltralpe si sarebbe voluta ridurre a mera esecutrice subordinata. Occorreva mettere in campo il meglio possibile: i fanti di Brigate leggendarie come la Sassari e la Liguria, i bersaglieri, gli alpini e quei nuovi “arditi” che dimostravano grande valore e tattiche inedite d’impiego.
La battaglia invernale non ha mancato d’essere studiata nel quadro generale del conflitto, ma mai prima d’ora era stata oggetto di una ricostruzione complessiva e analitica come quella di Gaspari.
Cinque reparti di arditi, tre reggimenti di bersaglieri, cinque di fanteria di cui due della Sassari e tre battaglioni alpini andarono incessantemente all’assalto nei quattro giorni di combattimenti, che garantirono a caro prezzo di riprendere la linea delle creste. Il valore italiano è testimoniato dalle tre medaglie d’oro (Aprosio, Redaelli e Sarfatti, tutti caduti), circa 200 d’argento e oltre 100 di bronzo. L’aviazione abbatté 17 aeroplani nemici.
Lo storico Segato conta in 5mila i nostri morti e feriti, più 675 prigionieri. Le perdite austriache non furono minori, con ben 2.600 prigionieri. La 106esima Divisione Landsturm perse qualsiasi ulteriore capacità bellica, mentre le Brigate da montagna subirono perdite nell’ordine del 25%, tanto da sollecitare il richiamo in linea di consistenti rinforzi.
Per la prima volta vennero impegnati proprio gli arditi, nuovo corpo dell’esercito, ad accesso esclusivamente volontario. Per l’80% venivano dalle campagne. Diciannovenni, comandati da ufficiali coetanei, firmavano perché avrebbero ricevuto un soprassoldo e premi che potevano anche raddoppiare le rimesse da inviare alla famiglia.
“La motivazione economica era fondamentale”, osserva Gaspari, poi veniva la coesione del reparto, fondata sulla collaborazione, il coraggio, la fiducia nel gruppo, propri di quei giovani uomini. La selezione era rigorosa, tanto per la necessità di affrontare un addestramento intenso e rischioso, che per l’integrità morale. Contro le chiacchiere che hanno macchiato ingenerosamente quei reparti, non erano teppisti: i pregiudicati, gli indisciplinati e gli elementi inadatti a una formazione di truppe scelte venivano prontamente rimandati ai reparti di provenienza.
Per comandare questi volontari intrepidi servivano ufficiali di grande temperamento e carisma. I quadri di compagnia erano spesso di carriera, ma anche quando di complemento tutti comunque decorati e al fronte da almeno due anni.
Arditi, alpini, bersaglieri e Brigata Sassari nella Battaglia dei Tre monti sull'Altopiano di Asiago il 28-31 gennaio 1918
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