Quando il sole entra nella costellazione dell’Ariete significa che l’inverno è ormai trascorso e si annuncia la nuova stagione. Lo spiega magnificamente Salvatore Quasimodo nella poesia intitolata appunto Ariete (1929) che descrive questo imperscrutabile moto dei cieli.
La lirica è tratta da Acque e terre (1920-1929), la prima raccolta poetica di Quasimodo pubblicata a Firenze nel 1930 per le edizioni Solaria. Come molte altre poesie della raccolta Ariete rivela l’adeguamento dell’autore a una delle correnti predominanti in quegli anni, l’Ermetismo. Il paesaggio descritto da Quasimodo è fantastico, onirico e sembra sfumare nell’irreale. Il paesaggio primaverile trascolora nel mito come si evince dal finale in cui a risorgere sono le voci remote delle antiche divinità pagane.
La primavera, secondo il poeta di Ed è subito sera, ha inizio nei cieli e il suo avvento si prefigura nella costellazione mitica dell’Ariete che si fa portavoce della stagione nuova.
Scopriamo testo, parafrasi e analisi della poesia.
“Ariete” di Salvatore Quasimodo: testo
Nel pigro moto dei cieli
la stagione si mostra: al vento nuova,
al mandorlo che schiara
piani d’ombra aerei
nuvoli d’ombra e biade:
e ricompone le sepolte voci
dei greti, dei fossati,
dei giorni di grazia favolosi.Ogni erba dirama,
e un’ansia prende le remote acque
di gelidi lauri ignudi iddii pagani;
ed ecco salgono dal fondo fra le ghiaie
e capovolte dormono celesti.
“Ariete” di Salvatore Quasimodo: parafrasi
Attraverso il lento moto dei cieli risorge la stagione nuova che arriva con il vento che agita i rami del mandorlo e rischiara l’ombra delle pianure e la leggerezza aerea delle nuvole, riporta i frumenti nei campi.
La stagione nuova riporta l’eco delle voci dei ruscelli che gorgogliano, dei fossati e dei giorni di gioia meravigliosi.
Ogni fiore sboccia e rinasce mentre una strana ansia assale le acque dove dormono nudi tra gli allori gli Dei pagani. Ed ecco che costoro risalgono dal fondo tra le rocce e su queste dormono il loro eterno sonno celeste.
“Ariete” di Salvatore Quasimodo: analisi e commento
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Nella poesia il carattere autobiografico tipico della lirica di Quasimodo cede spazio al mito. Vediamo rotta la struttura equilibrata tra racconto e canto, assistendo al prevalere del secondo. La parola, secondo la poetica ermetica, è ridotta alla sua scabra essenzialità.
Il paesaggio descritto appare astratto e distaccato dal Reale: la Natura è silenziosa e viene afferrata dalla parola nella sua dimensione più assoluta.
Quasimodo descrive la primavera sin dal suo annuncio nel moto lento dei cieli che, d’improvviso, si schiariscono e inondano il mondo di nuova luce. I versi si piegano al ritmo del canto e sembrano narrare il movimento del vento che soffia tra cielo e terra portando il “il tempo nuovo”.
In Ariete Salvatore Quasimodo narra il risveglio della primavera elencando ogni elemento della natura che sembra vibrare, riscuotersi al tocco della parola e così prendere coscienza di sé.
Dal cielo alla terra, la poesia di Quasimodo in realtà segue solo apparentemente un moto discendente perché nel finale, inattesa, si innalza trasfigurandosi nel mito. L’evocazione pura della Natura nella conclusione diventa un’ode al mondo classico: fanno capolino le divinità pagane che si muovono nude tra le fronde dall’alloro come nelle liriche virgiliane.
Come di consueto, nella poesia di Quasimodo, la gioia si adombra di una punta pungente di malinconia. Il trionfo della bella stagione porta con sé anche un’ansia recondita che sembra provenire da un rimpianto lontano, da un passato forse non poi così remoto. Il risveglio della natura accende una malinconia segreta nel cuore del poeta, possiamo cogliere in questo paesaggio mitico, selvaggio e ancestrale un riflesso della terra natia di Salvatore Quasimodo, l’amata Sicilia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ariete”: il risveglio della primavera nella poesia di Salvatore Quasimodo
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