AristoDem. Discorso sui nuovi radical chic
- Autore: Daniela Ranieri
- Casa editrice: Ponte alle Grazie
- Anno di pubblicazione: 2013
Chi sono gli "aristodem", gli aristocratici democratici, nuovi radical chic postideologici, e anzi "post-tutto", ma in teoria di sinistra, della già fatiscente terza repubblica?
Spero che a Daniela Ranieri non capiti mai di prendersela con uno dei miei libri: lo eviscererebbe con grazia da Vedova Nera e il mio ego - già compromesso di suo - ne uscirebbe malconcio. Dopo aver letto il suo “AristoDem. Discorso sui nuovi radical chic ” (Ponte alle Grazie, 2013), Daniela Ranieri è diventata per me una figura “castrante”: scrittrice troppo intelligente, troppo colta, troppo brava per essere vera. La sua vis polemica si colloca a metà strada tra l’impietosa perfidia di Sergio Saviane e il soave sarcasmo di Edmondo Berselli, ma è giusto per dare dei riferimenti, perché, a ben guardare, stile, taglio e passo narrativo dell’autrice in oggetto non è che trovino poi tutti ‘sti antesignani.
Daniela Ranieri è straordinaria di suo: punto e basta, quando scrive lei non ce n’è per nessuno. Altro che Mazzantini ed ex gioventù cannibale: se gli strega-campielli fossero altra cosa che premi lottizzati, Ranieri stravincerebbe a ogni nuova uscita: non ci sarebbe partita, come quando giocava Bjorn Borg.
Ho amato sin da subito “AristoDem”, l’ho amato perché al centro del mirino ci sono gli intellettuali modaioli della finto-sinistra e dunque perché è un libro politically incorrect - coraggioso, insolito, menefreghista, ipertrofico, caustico, amaro -; l’ho amato perché, soprattutto, è scritto benissimo, in una prosa che non sai mai bene se ridere o se piangere, della serie una carezza in un pugno, oppure come siamo finiti in basso compagni miei post-comunisti di facciata. Ancora qui a menarcela sui terrazzoni dell’alta borghesia capitolina col terzomondismo, col culturame finto-underground, coi superlativi assoluti, mostre-film-libri-feste (soprattutto feste) da non perdere, coi nomignoli improbabili. “Aristodem”, un po’ romanzo di costume un po’ pamphlet politico-antropologico, è pieno così di gente che si chiama (o si fa chiamare) Lalla, Glauco, Sauro, e persino Froidiana e Similaun (Sic!), protagonisti, discendenti e/o fiancheggiatori di vippame da partito democratico. Per l’insolita capacità di radiografare i nuovi mostri di una Nazione al suo declino, “AristoDem” sembra discendere da “La Terrazza” di Ettore Scola: quasi trecento pagine inesauste, dense di tic, mode, modi di essere, dialoghi, cibo, religioni, visioni, letture, idiosincrasie, di stampo radical chic. Materia ghiotta per il solito saggetto professorale da sfoggiare in un talk-show, tutto al contrario del volumone ibrido della Ranieri, affatto accademico, affatto ingessato, affatto autoreferenziale, tutta un’altra pasta, insomma. Leggete, per esempio, ciò che l’autrice riesce a mettere in bocca a tale Similaun, artista contemporaneo.
“A proposito di Risorgimento: sto lavorando a una nuova scultura che poi vi consiglio di andare a vedere alle scuderie Missoni: praticamente si tratta del busto di Pio IX montato sopra le gambe di Heather Parisi, a riprova del legame tra le manifestazioni più autentiche della storia del nostro Paese-Nazione, il tutto allestito da un collettivo di ragazze-padri che, per l’occorrenza, si sono fatte istruire nelle manovre militari da mio zio ex capitano della guardia napoleonica…” (pag. 207).
E prima ancora - pag. 108 - come descrive la relazione dei radical-chic con la cultura:
“Il loro rapporto con la cultura è turbolento: se ne fanno paladini e giustizieri, ma ne sono spaventati. Devono mostrarsi sempre all’altezza, e per farlo esigono che la cultura si abbassi alo loro livello. Alle cene, davanti a quadratini di polenta e uccelletti, amano a dire che a loro avviso il libro più grande del mondo è “Il piccolo principe” o, meno coraggiosamente, “Pinocchio” o le “Filastrocche” di Rodari, e si godono masticando, lo stupore scandalizzato del loro interlocutore. Preferiscono le frasi apodittiche e definitive, del tipo ‘dopo Dino Campana non esiste più niente’. Tollerano soltanto ipotetici precursori del loro pensiero. Hanno rivalutato il pop, tranne il pop wartholiano, che e volgare e didascalico”.
Un libro destrorso? Nemmeno a pensarlo. Qualunquista? Ma va là. Piuttosto il piano ravvicinato sulla crisi identitaria - e dunque sulla nevrosi - in cui annaspa una certa sinistra italiana, troppo aristocratica, narcisistica, auto-referenziale per accorgersi che le belle parole (così come le buone intenzioni) stanno a zero e la cultura, la politica, la vita vera sono altrove. Come direbbe Fabio Fazio (a proposito di snobismo radical-chic): questo è un libro che vi raccomando assolutamente di non perdere e dunque così sia.
Aristodem: Discorso sui nuovi radical chic
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Non si trovano gli antesignani? Ma ha letto Arbasino, soprattutto ma non solo Fratelli d’Italia? Solo che di Arbasino ce n’è’ uno