Bandito e poeta
- Autore: Ai Qing
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2007
Il vero nome di Ai Qing è Jiang Haicheng, nato nel 1910 in un’area agricola nel Zhejiang in Cina nella quale la sua famiglia è proprietaria terriera. Alla sua balia, la contadina Dayanhe, alla quale deve, probabilmente, molta della sua sensibilità e attenzione per le cose semplici, dedica una poesia. Da allievo dell’Istituto di Belle Arti di Hangzhou, nel 1928 va per perfezionare la sua tecnica pittorica in Francia e scopre la poesia, dipinge e scrive, ammira gli impressionisti. Nel 1931 torna nella sua patria invasa dal Giappone, finisce in carcere e, successivamente, partecipa alla Resistenza.
Al seguito di Mao Zedong nel 1949 entra a Pechino con l’Esercito Popolare di Liberazione assumendo importanti incarichi in campo culturale. Dal 1958 al 1975 viene allontanato dalla capitale per motivi politici e nel 1979 visita per la prima volta l’Italia. Muore a Pechino nel 1996.
Ai Qing è sempre stato uno spirito libero e anche durante il periodo di partecipazione al programma culturale di Mao scrive un articolo - Capire gli autori, rispettare gli scrittori - in cui dimostra la sua indipendenza.
La raccolta “Bandito e poeta” riporta poesie composte tra gli anni Trenta e il 1980. In ogni periodo si notano contemporaneamente
“Solarità e ombra. Malizia e gravità. Tormento e sogno”
come nota bene nell’introduzione la curatrice Anna Bujatti.
La poesia di Ai Qing ha momenti in cui dal silenzio si avvia con improvvisa leggerezza verso sprazzi di vitalità e sembra dotata di consistenza pittorica, di velature, giustapposizioni cromatiche, accostamenti di tonalità, contrappunti. La stessa libertà della pennellata degli impressionisti si ritrova nel verso sciolto, veloce, che fa letteralmente vedere quello che descrive attraverso il sapiente uso delle parole, come nella prima quartina della poesia Lo scoglio:
“Un’onda, un’altra onda/ sullo scoglio si abbattono incessanti/ ogni onda ai suoi piedi/ in schiuma si frantuma, si disperde”.
Nella poesia Bandito e poeta, del 1941, mostra rammarico per non aver avuto la possibilità di rincorrere i suoi sogni giovanili di giustizia e di equità:
“volevo rapinare gli sfruttatori/ massacrare i brutali oppressori dei deboli/ contrastare le leggi protettrici dei ricchi/ e mescolarmi con i delinquenti”
ma non riesce a perseguire il desiderio di “spericolate gesta” perché:
“la realtà ha dissolto il mio sogno”
ma la conclusione della poesia è piena di fiducia, confermando la speranza che si può, anche da poeta, agire e operare per il Bene:
“il poeta e il bandito siano amici/ se ho perduto la lancia di bambù/ con questa penna d’oca senza piume/ colpirò il male del vecchio mondo”
Leggere, simpatiche, persino ironiche, le brevi poesie come Il brindisi, La speranza o L’eco che termina affermando:
“e per quanto possiate litigare/ è sempre lei che ha l’ultima parola”.
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