Battaglie medievali
- Autore: Aldo A. Settia
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2020
Ci sono tanti modi per raccontare una battaglia di qualche secolo fa: quello apologetico dei condottieri vincitori, quello cronachistico degli storici, quello emotivo-narrativo degli scrittori. E sono tutti approssimativi, a leggere il prof. Aldo Angelo Settia, docente universitario di storia medievale, nel nuovo saggio per il Mulino, Battaglie medievali (maggio 2020, 356 pagine), che continua ad approfondire aspetti storici dell’epoca, dopo Castelli medievali (2017) e Guerre ed eserciti nel Medioevo (2019), limitandoci alle pubblicazioni per la società editrice bolognese.
Il lavoro tiene conto della nuova prospettiva storiografica in tema di grandi scontri sul campo. Per dirla con Carlo Ginzburg, non è da ritenere possibile mettere a fuoco contemporaneamente “la specificità storica di una battaglia (vera o presunta) e la sua irrilevanza cosmica” e questo nega ogni possibilità anche di suddividerla in fasi schematiche: un avvio, una metà e una fine, secondo una visione che Settia definisce “panottica” ma che gli storici militari, fa notare, da tempo non considerano più accettabile. Non solo mettono in dubbio, infatti, che del combattimento si possano indicare con certezza un principio e una conclusione, ma negano che si possa definire un nitido svolgimento. Nel tentativo, ci ritroveremmo tutti nella condizione di chi ha partecipato sul campo, tanto la più inesperta delle reclute quanto il condottiero principale: nell’oggettiva difficoltà di comprendere con chiarezza gli accadimenti mentre si svolgono. Poco importano le ingenti produzioni successive, le relazioni ufficiali o i contributi storiografici, tutti redatti solo dopo approfondimenti specifici e anche sulla base di documenti o testimonianze di parte avversa, non disponibili ovviamente al momento della “pugna”.
Secondo il sociologo Alain Joxe, la battaglia è nello stesso tempo “un avvenimento, una società, una situazione passionale, un mito” e andrebbe per questo analizzata in maniera interdisciplinare, tenendo conto dell’intreccio tra storia, sociologia, psicologia, antropologia. Oggi, peraltro, la ricerca considera nuove prospettive interpretative, specie il “vissuto” dei combattenti. È quello che il prof. Settia dice di aver voluto fare: raccontare non tanto di battaglie, ma di uomini nelle battaglie.
Non si preoccupa quindi di cercare le cause, ricreare lo svolgimento e approfondire il complesso di conseguenze. Sostiene di aver cercato di non farsi fuorviare dalla “drammatizzazione” e dalla “razionalizzazione”, delle ricostruzioni a posteriori di una mossa decisiva che probabilmente sarà avvenuta solo per caso (sebbene non possano essere trascurati del tutto i principi tattici fondamentali applicati sul campo).
Si tenga presente, comunque, che privilegiare il punto di vista dei protagonisti diventa più agevole dai conflitti dal Novecento in poi, affrontati da militari più istruiti (si pensi agli oltre centomila ufficiali di complemento dell’Esercito italiano nel 1915-18, professori, studenti, diplomati, laureati), mentre nell’età medievale la qualità dei testimoni risultava notevolmente ridotta, per l’analfabetismo delle masse dei soldati in tutti i secoli antecedenti il XIX e per la debole “qualità stessa delle fonti generalmente disponibili”.
Pertanto, nel farsi un’idea della realtà di un fatto d’armi, visto dalla prospettiva dei partecipanti, Settia non trascura gli aspetti tecnico-tattici, l’habitat in cui si gli eventi si sono svolti e l’organizzazione degli eserciti che si sono sfidati. Un lavoro aneddotico e antologico allo stesso tempo, volto a capire come gli uomini si siano comportati prima, durante e dopo la battaglia.
Si guarda alle sole terrestri, in campo aperto, in massima parte in Italia, ma che vedevano coinvolti eserciti stranieri: arabi, normanni, tedeschi, francesi, iberici e così via. Non si dimentichi che l’arte militare italiana del Rinascimento impartiva lezioni a tutta Europa. Nell’età comunale, la società urbana italiana è stata una comunità militarizzata.
Condivisibile la scelta di non fornire dati sul numero dei combattenti: nelle fonti medievali quei riferimenti sono in genere inaffidabili: generici, incerti, incompleti. Lo stesso vale per le perdite (morti, feriti, prigionieri), indeterminate e indeterminabili. Ma, in genere, gli eserciti dell’epoca non potevano essere numerosi, a causa della frammentazione politica, della scarsità della popolazione, della difficoltà di mantenerli, economicamente e logisticamente.
Nel complesso, sono state relativamente poche le battaglie campali durante l’età medievale. Pur potendo dare e togliere regni (a Benevento e Tagliacozzo si giocò quello di Sicilia), si preferiva non scontrarsi, ove non ci fosse la certezza della vittoria.
Ecco perché, in numerosi casi, eserciti preparati a combattere restavano a lungo schierati di fronte senza sfidarsi. L’angoscia dell’attesa faceva parte della battaglia e questo introduce il tema della psicologia dei combattenti: paura e coraggio, il disagio di muoversi in foreste, paludi, fiumi, la vergogna della fuga. Poi, il venire alle armi: le tecniche di cavalieri e fanti, il peso di corazze e protezioni, la stanchezza, la strage di cavalli, perfino i suoni e i segnali con vessilli e insegne, i carri sul campo. Lo squillo delle trombe, i gridi di guerra, il calore estivo e la polvere, che assetavano e faceva bere tanto. E dopo lo scontro vittorioso, la spartizione della preda, la sorte di prigionieri e caduti, anche i monumenti celebrativi.
Battaglie medievali (Biblioteca storica)
Amazon.it: 16,99 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Battaglie medievali
Lascia il tuo commento