Bebelplatz
- Autore: Fabio Stassi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Sellerio
- Anno di pubblicazione: 2024
È un gioco di scatole cinesi l’ultimo libro di Fabio Stassi: con Bebelplatz (Sellerio, 2024) l’autore ci guida in un viaggio affascinante e malinconico nelle pagine più buie della storia del Novecento, racconta il rogo dei libri che si consumò con l’avvento del Nazismo ma propone anche una riflessione stratificata e multiforme su molte grundfrage che riposano silenti nell’angolo più buio della stanza di ogni scrittore: perché si scrive? Qual è il significato ultimo e profondo della scrittura? E ancora: perché ricordiamo alcune vicende e tendiamo a rimuoverne altre? Cosa anima l’istinto umano di distruzione che in ogni epoca si è rivolto anche contro i libri?
È la storia di un viaggio, quindi, nel più grande tentativo di rimozione della storia recente, ma è anche, specularmente, il tentativo di riscoprire le voci che la follia nazista avrebbe voluto silenziare, in particolare le voci italiane che erano state programmaticamente destinate all’oblio in terra tedesca.
Prima di questo, Bebelplatz è anche la storia di un viaggio reale: lo scrittore, invitato negli istituti di cultura tedeschi, per tenere delle conferenze, viaggia lungo tutta la Germania, in quattro grandi “città duplicate”, prive di “una reale e riconoscibile identità urbana” che, in qualche modo, lo invitano a scavare nella storia, ma anche nell’inconscio collettivo di quel Paese.
“La notte dei libri bruciati” è il sottotitolo del bel libro di Fabio Stassi, l’evento a cui dare ragione in quest’indagine che da subito inizia a interrogarsi sulla notte del 10 maggio 1933, quando a Monaco, come nelle piazze di molte altre città tedesche, militari ma anche civili e studenti celebrarono il rogo dei volumi di Marx, Freud, Einstein, Zweig e Brecht, tra gli altri, animati dall’intento di Goebbels di trasformare in un uomo di carattere quell’uomo tedesco che fino ad allora era fatto di libri.
L’autore, però, già dalle prime pagine non trattiene il desiderio di allargare la sua indagine: ricorda la vicenda che dà inizio alla follia di Don Chisciotte, l’epurazione avvenuta nella sua biblioteca per espungere tutto quanto c’è di degenerato e di corrotto volumi e la disperazione che coglie Alonso Quijiano quando, guarito, trova un muro al posto dell’entrata della sua biblioteca. Non è un caso isolato né solo una finzione letteraria, la distruzione di biblioteche avveniva già nell’antico Egitto e nella Grecia classica, Lutero bruciò libri e bolle papali nel castello di Wartburg ma anche Cartesio e Hume invitarono a incenerire i volumi della scolastica e le opere di metafisica, convinti che se ne potesse fare a meno.
Proprio nel pericolo della degenerazione l’autore individua la prima motivazione che portò al rogo dei libri: la stessa popolazione “non comprendeva le avanguardie e temeva l’inquinamento dell’identità nazionale”, il pericolo contenuto in quei libri erano le idee che veicolavano: erano le idee veicolate: il socialismo, il liberalismo, ma anche il cosmopolitismo e il pacifismo. Niente di più intollerabile per un regime che aveva un preciso programma culturale: usare i libri come armi, proprio come voleva Mussolini, fare delle biblioteche un presidio mentale e militare, servirsi della letteratura autentica per realizzare la mobilitazione totale del popolo tedesco.
Ma, come nota Heinrich Heine, dove si bruciano i libri si bruciano anche le persone, e nella storia i roghi delle biblioteche fanno spesso il paio con le persecuzioni degli intellettuali. Ciò perché alla base di questa scellerata operazione culturale c’è la necessità di mettere a tacere chi ha fissato valori nel passato e chi li utilizza per muovere una critica al presente:
“annullare qualsiasi voce discorde dal potere dominante o che tenti di delegittimarlo, cancellare il dissenso e la cultura precedente, consegnare una sola versione dei fatti e del pensiero”
È una questione che, insomma, ha a che fare con la libertà stessa, come a dire che la scrittura è di per sé esercizio di libertà e quindi, almeno potenzialmente, anche di dissidenza e di devianza da un ordine sociale precostituito.
Lo dimostrano bene i cinque scrittori italiani che furono oggetto di attenzioni da parte del nazismo: autori di libri destinati ai roghi, che per Stassi diventano cinque casi letterari da indagare e riscoprire. Nella parte più consistente del libro l’autore ricerca dunque le ragioni che agli occhi dei nazisti rendevano tanto pericolosi personaggi come Pietro Aretino, pervertitore di ogni morale, o di Giuseppe Antonio Borgese, intellettuale cosmopolita e pacifista, che avrebbe voluto una repubblica universale perché convinto che l’Italia stessa fosse luogo della convivenza di tante identità.
Ci mostra le radici risorgimentali dell’opera di Emilio Salgari, che con la sua opera aveva dato voce agli ideali libertari e antimperialisti di un’intera generazione di scrittori sudamericani e ci propone un ritratto, a tratti struggente, di Ignazio Silone, che fece della letteratura lo strumento più potente del suo antifascismo. L’ultimo nome che il nazismo aveva destinato al rogo è quello di Maria Volpi, una scrittrice di romanzi rosa che aveva narrato, ai tempi del fascismo, l’amore sconveniente tra una donna bianca e un fascinoso nero: una sovversione di tutti gli stereotipi sulla donna, un inno all’indipendenza femminile che mostra bene come
“nel dare fuoco ai libri, insieme all’estinzione della memoria, l’obiettivo è la liquidazione del soggetto: (…) nessuna dittatura tollera l’individualità”
Oltre a questi autori, in questo suo viaggio a ritroso Stassi ne porta con sé e ne richiama molti altri, il Canetti di Autodafé, Sebald ma soprattutto Elsa Morante con la sua conferenza sulla bomba atomica, la sua affermazione secondo la quale lo scrittore è “un uomo a cui sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura”. È in questi passaggi che troviamo la chiave di lettura più essenziale e interessante del libro: la letteratura serve a
"impedire la disintegrazione della coscienza umana, nel suo quotidiano, e logorante e alienante uso col mondo; di restituirle di continuo […] l’integrità del reale, o in una parola, la realtà"
Quanto più la propaganda di un sistema diventa capillare e pervasiva, tanto più affondiamo in una finzione in cui la realtà ci diventa incomprensibile: in questo sistema dell’irrealtà, che può ripresentarsi in ogni momento storico, la nostra coscienza si disintegra, finiamo di essere uomini per diventare sudditi.
E fare letteratura, per Stassi, è prendersi cura di un sistema solare di oggetti eterni,
“prendere in consegna il lumicino della ragione, e farlo durare, evitare che cada nelle mani di chi lo vuole estinguere”.
Bebelplatz è un libro complesso anche se godibilissimo, chiede attenzione al suo lettore, per i molti piani che interseca sapientemente, ma offre in cambio un caleidoscopio interessantissimo che irradia luce su tanti temi e domande: la vicenda personale si intreccia con la grande storia e mentre questa lascia il posto a un capitolo ancora inedito di storia della nostra letteratura si apre già una meditazione sulla natura stessa della scrittura.
Soprattutto, questo di Fabio Stassi – lo dimostra bene il fatto che gli sia stato assegnato quest’anno il Premio Hermann Kesten per la libertà di parola – è un libro necessario oggi, perché se i roghi di libri non torneranno, soffia ancora forte il pericoloso desiderio di mettere a tacere le tante voci – siano quelle di un magistrato o di un insegnante – che più acutamente esprimono il loro dissenso.
Bebelplatz. La notte dei libri bruciati
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