Behind the Nobel. Interviste a sette premi Nobel sul dopo vittoria
- Autore: Emiliano Tognetti
- Genere: Storie vere
- Anno di pubblicazione: 2023
Emiliano Tognetti crea questo peculiare progetto editoriale, decidendo di far parlare sette premi Nobel a proposito della vita post-vittoria. L’autore racconta di aver preparato le domande nel momento più cruento della pandemia da Covid-19.
In realtà, i Nobel contattati furono ben felici di parlare in un’intervista che vede protagonisti solo uomini. Una donna in realtà c’era, ma quando le fu comunicato che sarebbe stata l’unica donna del libro Behind the Nobel. Interviste a sette premi Nobel sul dopo vittoria (Graphe.it edizioni, 2023) fece un passo indietro, rinunciando.
Tognetti inizia con l’intervista a Roald Hoffmann, premio Nobel per la Chimica del 1981. Gli viene chiesto se lui da americano, con radici ebree e polacche, nato in Europa, subì dei contraccolpi durante il secondo conflitto bellico. Il chimico risponde di essere nato nel 1937, quindi era molto piccolo nel 1939, ma ricorda che furono due anni sotto l’occupazione sovietica e alla fine furono liberati dall’Armata rossa. Ma dal 1941 a metà del 1944 lui e la sua famiglia vissero sotto il giogo dell’occupazione nazista.
Hoffmann non vide mai un campo di concentramento, come molto spesso i suoi colleghi lasciarono intendere, con la madre e il padre visse a lungo in un campo di lavoro, dove non erano prigionieri ma avevano la possibilità di uscire di casa. Nonostante le terribili notizie che arrivavano da altri campi, il padre del ragazzino aveva attuato un metodo per evadere dal campo di lavoro. Ma qualcuno fece la spia o fu un nazista a capire ciò che stava succedendo. Di fatto il padre di Roald Hoffmann fu fucilato, ma la madre si ricordò della promessa fatta al marito e partì per gli Stati Uniti. Il post Nobel fu emozionante perché il chimico dedicò il Premio al padre scomparso.
Poi c’è l’intervista a Frederick de Klerk che vinse il Nobel della Pace insieme a Nelson Mandela. Fu un Nobel che lasciò insoddisfatti chi voleva solo Mandela a Stoccolma. Il politico non fa mistero che i rapporti con Mandela erano molto tesi in quel periodo e le persone che all’epoca vennero all’hotel lo fecero per vedere Mandela, non il ricco bianco che pure con le sue riforme smantellò l’Apartheid.
La terza persona intervistata è il Nobel per la Medicina 1993, Richard John Roberts. Lui racconta che fu una vera festa il dopo vittoria, perché il Nobel fece sì che ogni suo intervento fosse ascoltato con maggiore attenzione, al punto che i colleghi gli chiedevano se poteva parlare anche per loro.
Poi è la volta di Peter Charles Doherty, che ricevette la notizia di aver vinto il premio Nobel per la Medicina nel 1966, alle 4,30 del mattino. Una chiamata che lui prese di corsa per evitare di svegliare tutti in casa, in realtà poi a svegliarli fu lui, perché i Soloni di Stoccolma danno la notizia della vittoria del Nobel alle dieci del mattino fino alle undici, a volte non preoccupandosi minimamente se sono le quattro del mattino e tu hai un parente caro in ospedale.
Ma dal momento che nessuno finora ha preso un colpo, se non di gioia, quelli del comitato del Nobel non accennano a cambiare le proprie abitudini.
In questo caso va assolutamente riportato quanto accadde a Stoccolma:
La cosa più ridicola che può accadere è che insieme alla cravatta bianca e alle code si indossa un panciotto inamidato che va portato sopra la camicia con un elastico. Era una cena al palazzo del Re, perché era il centesimo anniversario della scomparsa di Alfred Nobel. Mentre eravamo in macchina, vestito a puntini, io e mia moglie, ma scoppia l’elastico del panciotto! Si era rotto l’elastico e il panciotto si gonfiava in orizzontale. Fummo costretti a tornare in hotel per rimediare. Tornammo che eravamo gli ultimi della fila e il Re aspettava solo noi per andare a tavola.
Per aver scoperto le chinasi, molecole proteiche deputate al controllo e alla regolazione del ciclo cellulare, il Microbiologo Paul Maxime Nurse e due colleghi vincono il premio Nobel per la Medicina 2001.
Il Nobel per la pace 2018 va al pastore protestante, medico e attivista nel Congo, Denis Mukwege, per la sua battaglia contro lo stupro di giovani donne nel Congo. A causa del Nobel l’uomo vive barricato nell’ospedale di Bukavu, esposto a rischi e minacce. Non c’è sempre un dopo divertente, purtroppo. Anzi, qui c’è l’orrore, perché vengono violentati bambine e bambini. L’uomo, sotto scorta non dimenticherà mai una bambina di tre anni i cui genitali vennero distrutti a tal punto che si vedevano gli intestini. Nel suo discorso Mukwege sottolinea che, anche se sottoposte a un’operazione ricostruttiva, queste bambine da grandi avranno traumi spaventosi, al punto da non vedere altra scelta che il suicidio. Il problema aggiunto è soprattutto che gli psicoterapeuti, in Congo, sono pochissimi.
Chi scrive chiude qui, ma non prima di aggiungere chi è il settimo intervistato: è Didier Patrick Queloz, Nobel per la fisica 2019.
Le interviste sono molto belle, meritano di essere lette tutte.
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