

Bianco su nero. I diari di Valerio, testimone corale del colonialismo
- Autore: Flavio Giacomini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
I dialoghi sono secchi, brevi, istantanei. Il periodare è sincopato, staccato, compartimentato, costringe volutamente a soffermarsi per comprenderlo, tanto più nelle note di diario intercalate in corsivo alla narrazione, dove l’autore non risparmia errori grammaticali o lessicali, per assecondare la genuinità della scrittura diaristica. Uno stile molto personale, un’originalità cercata, insistita quella di Flavio Giacomini, nel romanzo Bianco su nero. I diari di Valerio, testimone corale del colonialismo, pubblicato quest’anno da Armando Editore nella collana Narrare (giugno 2024, 240 pagine).
Fedele al motto ispiratore “(al)la ricerca del sapere”, la casa editrice romana ha tenuto a proporre questo insolito prodotto narrativo di un dirigente industriale piemontese in giro per il mondo. Nato nel 1965 nel Verbano Cusio Ossola, Giacomini è un manager della robotica industriale, al lavoro in Italia, Germania e Stati Uniti. Appassionato di storia contemporanea, trova il tempo di dedicarsi alla lettura e scrittura, con tre testi precedenti all’attivo.
Sostiene che tante piccole vicende fanno la grande storia e che la storia è fatta grande dai personaggi che hanno agito con coraggio, sacrificio e senso del dovere. Uno è Amedeo Guillet (1909-2010), ripreso in copertina in grande uniforme di Cavalleria, il comandante Diavolo o anche Ahmed Abdallah Al Redai, il Lawrence italiano nel Corno d’Africa, un quarto di secolo dopo il leggendario inglese.
Al comando dal 1936 di truppe coloniali montate, in Libia ed Eritrea, cambiò la divisa e la sciabola con i panni arabi e la scimitarra, dopo la vittoria britannica in Africa Orientale nell’aprile 1941. Capeggiando la sua banda di cavalieri ascari fedelissimi, eritrei, etiopi e yemeniti, animò nei mesi successivi una guerriglia tanto intensa da spingere gli inglesi a fissare una taglia sulla sua testa. Non riuscirono a catturarlo, anche per la protezione delle tribù locali che non gradivano l’assimilazione nel regno d’Etiopia, progettata dal Foreign Office. Se pure resta un’opera di fantasia, a Giacomini piace interpretare il suo lavoro come un “falso storico”, ogni elemento del quale vorrebbe risultare il più possibile verosimile. Le vicende storiche e militari sono realmente accadute: il tenente Guillet è veramente esistito; un giornalista di “Azione Coloniale” ha visitato il suo accampamento; Sebastian O’Kelly è stato il suo biografo; i diari di viaggio attribuiti al giornalista Valerio Aloisi (personaggio di fantasia) ricalcano quelli degli italiani di allora. La famiglia Aloisi invece non è mai esistita.
I materiali (lettere autografate, diari, articoli di giornali) li ho pensati per dare al lettore l’impressione di trovarsi davvero davanti allo scatolone degli oggetti di Valerio, spedito da O’Kelly al sottoscritto, autore e personaggio dell’opera.
Il critico letterario Guglielmo Colombero e lo scrittore Fulvio Mazza mettono in luce nella prefazione che il romanzo è ambientato all’epoca del colonialismo fascista in Africa Orientate e incentrato sulla figura de plume di Aloisi. Aprono la narrazione le pagine di un diario personale altrettanto immaginario, “elenco d’incubi febbrili, ma attraenti, scritti a mano ferma e con grafia puntuale, senza esitazione”, in cui condensa le riflessioni alla vigilia e durante una tappa fondamentale della sua esistenza.
Ventinovenne giornalista del periodico fascista “L’azione Coloniale”, non è una grande penna. Scrive con una prosa vuota, senza profondità, perché demotivata da ragioni ideologiche o politiche, e non nutre nemmeno ambizioni di carriera. S’imbarca nel maggio 1940, per raggiungere la colonia Eritrea, armato di una fotocamera Bencini, modello Roby, regalo del nonno materno per i 27 anni.
Il transatlantico Conte di Biancamano salpa dopo un impatto da censura con una Napoli che a Valerio sembra la quintessenza della sozzura, del malaffare e dell’impudicizia. E dire che è un gran frequentatore di case di tolleranza, in Italia come lo sarà in colonia. Lamenta d’essere stato assalito senza difesa, in una città invasiva oltremisura di tutto quello che è privato, insopportabile nei suoni, rumori, odori, sapori. Per una cosa che serve, si fanno appresso “in centouno”, a elemosinare d’essere incaricati di fornirla, “con una piaggeria che da sola basterebbe a irritare il più pio degli uomini, che io pure non sono”.
La missione di Aloisi è assistere alla proclamazione del fascistissimo generale Frusci a governatore di Massaua. Viaggia con il collega Di Girolamo, col quale non lega per niente, sono in conflitto perenne.
Nel diario e nel racconto di Valerio ricorrono incontri con la popolazione locale, scorci dell’habitat - caldo insopportabile nelle città, caldissimo nel deserto –, considerazioni sulle tradizioni tribali e citazioni di eventi bellici. Si parla del massacro degli operai dell’azienda Gondrand a opera di guerriglieri, dell’uso dell’iprite autorizzato da Badoglio per sterminare con il gas le truppe nemiche nel 1936 e della strage di religiosi copti a Debra Libanòs.
La denuncia del nostro colonialismo straccione è costante, quella dell’inferiorità alla quale sono costrette le donne è frequente; del resto la maggior parte delle interlocutrici sono prostitute, costrette a tirare avanti a marchette, private dell’onore e del futuro. La condanna dell’inutilità dell’avventura coloniale mussoliniana è incarnata dalla figura del tenente Guillet, prima eroico e affascinante ufficiale di Cavalleria da cinema di regime, brillante e sicuro di sé nelle cerimonie e nei saloni da ballo, poi capo guerrigliero nel suo conflitto del tutto personale. Il transfert, l’identificazione tra l’eroe e l’autore è assiduo, evidente, in un romanzo decadente e amaro sull’esperienza coloniale italiana, che vi si mostra quanto mai razzista e miserevole.
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