Breve storia di Caporetto
- Autore: Giacomo Properzj
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2017
Uno tsunami bellico senza precedenti stava per scatenarsi contro gli italiani, il 24 ottobre 1917, sul fronte carnico, ma gli alti comandi non avevano aperto nemmeno l’ombrello e qualcuno, con una spocchia ingiustificata, pensava di contrattaccare, dando per scontato che avrebbe controllato facilmente l’offensiva nemica. Andò tutto al rovescio, come si legge in un breve testo recente sulla madre di tutte le sconfitte, “Storia di Caporetto”, proposto dal politico, giornalista e scrittore milanese Giacomo Properzj a un secolo esatto di distanza dagli eventi (Ugo Mursia Editore, 2017, 126 pagine, 11 euro).
Già sindaco di Segrate e presidente della provincia di Milano negli anni ’80, è non vedente dal 1979 per un incidente di caccia, ma “legge” benissimo la storia.
Poche pagine, ma si fanno notare per l’originalità delle analisi di cause, modalità e conseguenze della batosta nell’Alto Isonzo, proposta con indubbia capacità di sintesi.
I presupposti che condussero alla disfatta ci sono tutti, con l’aggiunta di una rapida ma efficace messa a fuoco dello scenario mondiale che si era andato creando, ma che i nostri generali ignoravano colpevolmente.
La Germania aveva deciso di puntare le carte sul fronte italiano, prima che gli Stati Uniti concludessero il lento trasferimento oltreoceano e gettassero il loro imponente peso militare sulla bilancia del conflitto in Europa. Con la Russia in crisi rivoluzionaria, costringere gli italiani a un armistizio separato o almeno infliggere un colpo ridimensionante avrebbe consentito di dedicarsi senza preoccupazioni al fronte francese principale.
Sulle prime, i comandi italiani si erano mostrati scettici dell’eventualità di subire una grande offensiva autunnale, stagione inadatta a condurre operazioni belliche importanti, tanto più su linee orograficamente problematiche. Quando i segnali di uno sforzo nemico e della presenza di truppe tedesche si fecero evidenti, i preparativi di Cadorna a difesa risultarono poco determinati e il peggio lo fece il gen. Capello. Il cocciuto condottiero dell’enorme 2a Armata sognava il contrattacco e per questo aveva lasciato le artiglierie pesanti nelle postazioni avanzate, buone per sostenere un’offensiva, ma fatalmente esposte alle iniziative avversarie. Aveva così ignorato le basilari disposizioni del Comando Supremo di arretrare i pezzi in posizioni sicure, da cui contenere efficacemente un eventuale sfondamento locale.
Venne vanificata perfino la circostanza fortunata della diserzione di un ufficiale ungherese, che fin dal 12 ottobre si era consegnato ai nostri, consegnando carte che riportavano dettagliatamente il piano offensivo austrotedesco. La macchina burocratica militare si mosse con flemma esasperante e, tra lente traduzioni e infiniti passaggi di consegne, quel materiale tanto prezioso venne preso in considerazione in pratica mentre i tiri a gas dei cannoni tedeschi avevano saturato la Conca di Plezzo, uccidendo silenziosamente i difensori. Le sturmtruppen all’assalto ebbero tra l’altro dalla loro la buona sorte della pioggia battente, capace di neutralizzare l’effetto venefico.
La nebbia consentì poi ai reparti avanzanti di penetrare lungo i fondovalle praticamente in assetto di marcia e questo ingannò i nostri che presidiavano i rilevi, convinti di veder sfilare forze amiche.
Si osservò male e si combattè peggio, con tanta confusione da parte italiana e senza collegamenti a filo, messi fuori uso dal bombardamento di preparazione. Properzj è molto bravo nel descrivere il disordine e lo sbandamento delle truppe non combattenti nelle seconde linee - addetti a servizi, trasporti, logistica, magazzini – che alla vista o anche solo alla notizia del tedesco arrembante lasciavano il loro posto e sciamavano all’indietro, creando il vuoto alle spalle delle truppe in linea, intasando le strade, ostacolando il movimento dei rinforzi e diffondendo la paura. È a questo punto che comincia la rotta incontrollabile di Caporetto.
Il collasso si propagò all’intera 2a Armata. Cadorna ne ebbe una visione solo il giorno dopo. Gravissimo. Com’era sbagliato che per un’abitudine tutta italiana i combattenti gremissero la prima linea e i non combattenti le immediate retrovie. Il motivo è che restare in zona ravvicinata di guerra, pur non necessariamente sotto le pallottole, comportava il godimento di ambite promozioni, premi e riconoscimenti. Immeritati, sproporzionati. Inutili, anzi, dannosi.
Il bilancio apocalittico della rotta è coerente con quello degli altri saggisti, per la quantità enorme delle perdite materiali e territoriali. Limitiamoci a ricordare i 300mila prigionieri lasciati al nemico e i 200 km di arretramento al Piave. È originale, però, nell’offrire l’immagine di soldati (di seconda linea) che lasciano le armi e tornano verso l’Italia con solo la maschera antigas al fianco e l’elmetto in testa, per proteggersi dalla pioggia. Non uno sciopero militare, a suo modo di vedere e nemmeno una ribellione, più che altro un “tutti a casa”.
Non pochi di quegli uomini, insieme alle truppe rimaste salde ed ai ragazzi del ’99, tennero duro sulla linea Grappa-Piave e un anno dopo andarono a vincere la guerra. Certo, il nuovo fronte era per un terzo meno esteso, più difendibile e già munito di postazioni predisposte fin dal 1916 dal gen. Porro e da Cadorna stesso. Per questo Properzj avrebbe intitolato il libro: “Soldato che scappa buono per la volta dopo”.
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