Buchi di vuoto
- Autore: Elfriede Gaeng
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2003
Non è molto diffuso nella tradizione letteraria italiana il racconto, né tantomeno quello un po’ surreale, che ha scelto la regista/sceneggiatrice Elfriede Gaeng, autrice del più recente "Con il sole negli occhi", per raccontarci una sua visione del mondo: mi viene da pensare ai racconti di Dino Buzzati, e a qualche pagina di Calvino.
Per il resto i quattordici racconti brevi contenuti nel piccolo volume “Buchi di vuoto” ci trasportano in tempi e luoghi realistici ma al tempo stesso di grande valenza simbolica, come avviene più spesso nella tradizione della short story anglosassone, che appare il modello più vicino alle scelte di contenuto ma soprattutto stilistiche dell’autrice.
Nei testi ci sono molti animali e molti umani: i rapporti tra gli uni e gli altri, il tema della metamorfosi riguardano ad esempio il racconto “Il lupo dagli occhi d’oro”: Un po’ Kipling, un po’ fratelli Grimm, la narrazione si svolge intorno alla figura di un lupo emarginato dal branco, abbandonato a se stesso, insaziabile, spaventato dal suo stesso sguardo, che impaurisce i suoi simili e lo costringe a tenere gli occhi ridotti a due fessure, “Perché nessuno potesse vedere il colore dei suoi occhi”. Solo la donna amata ne riconoscerà il valore e il lupo potrà assumere l’aspetto umano.
Una mosca è la protagonista del racconto omonimo, una mosca intelligente che riesce a salvare la vita alla giovane donna disperata che è in procinto di bere un bicchiere avvelenato, e sarà lei stessa a tuffarsi in quel bicchiere.
”e mentre la donna stava per prendere il bicchiere spiccò il volo dal lato della pendola e si tuffò nel vino…”
Il tema della metamorfosi torna anche ne “L’acquario”: il piccolo Bill di otto anni sente i continui litigi dei genitori e cerca di non ascoltare preferendo il rumore più rassicurante delle onde dell’oceano che lo invadono procurandogli una sorta di benessere. I giochi, il computer, la tv non riescono a lenire la solitudine del ragazzino che si inebria solo davanti all’acquario di acqua marina, popolato da pesci rari, di cui si occupa Jack, una persona rassicurante.
“La sua voce bassa e intensa li rendeva tranquilli. Le sue lunghe mani affusolate si muovevano con delicatezza e perizia all’interno dell’acquario...”
Quale luogo migliore dove rifugiarsi per Bill, che entra nell’acqua ricoprendosi presto di squame colorate e cominciando a vivere e pensare come un pesce?
E di nuovo la distrazione di genitori troppo occupati e lontani ritorna nel racconto “Distrazione fatale”, testo ben costruito su quattro voci che esprimono altrettanti punti di vista sullo stesso evento: la piccola Francesca è andata al centro commerciale con il padre Marco per comprare una bicicletta, ma Marco ha provato un computer e per qualche minuto ha perso di vista sua figlia che scompare. Panico, paura del rapimento, arrivo della polizia, tentativo di ritrovarla da parte delle forze dell’ordine: la voce di Nina, la madre della piccola, che mette in discussione il suo rapporto coniugale, quella della poliziotta, che ha una figlia della stessa età che abbandona troppo spesso...
Il finale inatteso vi sorprenderà, inducendo una serie riflessione sul tema della genitorialità responsabile.
La solitudine non è solo quella dei bambini o quella degli animali: anche il mondo degli adulti passa sotto la lente a volte ironica, molto spesso impietosa, delle pagine di Elfriede Gaeng: nel racconto “Il quadro”, il riferimento al Dorian Gray di Wilde è d’obbligo. La donna ritratta, in abito da sera con un libro tra le mani, è morta dieci anni prima e sua sorella ha portato il dipinto nella sua nuova casa. In realtà di notte il dipinto si anima, la donna scende dal quadro e riprende i suoi studi precocemente interrotti, ritrovandosi però in un ambiente nuovo, diverso da quello della casa paterna. Il padrone di casa, che non ama il quadro né la persona ritratta, cercherà di disfarsene ed ecco che la donna che legge si troverà trasferita in diversi ambienti, fino alla misteriosa destinazione finale.
"Qualcuno disse di aver visto una donna dal tratto aristocratico, indosso solamente uno splendido abito da sera e un libro tra le mani, correre per riuscire a prendere un treno in partenza per... non ricordava esattamente quale città.”
Piatti che si alzano, il tempo che si ferma, le lettere dell’alfabeto che si sollevano e tutte insieme compiono una sorta di girotondo fantastico, la fantasia dell’autrice ci sorprende ad ogni pagina, inducendo però sempre una riflessione quasi filosofica sulla nostra esistenza, sul tema dell’identità, sulle domande che ciascuno di noi si pone nell’affrontare i grandi e profondi interrogativi che la vita in ogni tempo ci propone, sia che ci troviamo nello spazio siderale che chiusi nelle stanze soffocanti di un palazzo, le cui finestre si chiudono ermeticamente “come palpebre”.
Binocoli, orologi, telefoni, computer, nei racconti di Gaeng questi oggetti delle nostra quotidianità assumono la forza di metafore, divenendo simboli letterari delle nostre inquietudini, della nostra sostanziale infelicità.
Buchi di vuoto
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