Cabareto
- Autore: Luca Cattonaro
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2020
Cabareto o "Piccolo Cabaret" di Luca Cattonaro (Edizioni Calembour, p. 57, 2020) è un testo poetico scritto in dialetto triestino, nato con l’intento di sorridere e far sorridere. Ne abbiamo bisogno in questi tempi abbastanza cupi, nei quali il coronavirus ha scatenato fenomeni di ansietà, insicurezza sociale e depressione. Ben venga dunque l’esortazione scherzosa dell’autore:
“aria, ridade e zigade coi fioi, un giro de basket e un in bici, go butà zo ste poesie storte come un oki al momento giusto.
Ah, e se te legi e no te ridi, mi no centro, xe colpa tua che no te ga iumor.”
Il poeta ha preferito aggiungere la traduzione di alcuni termini dialettali in nota a piè di pagina, piuttosto che tradurre il testo, per non perdere il ritmo tanto essenziale e la carica vitale di queste poesie “storte”. Ma traduciamo per chiarezza interpretativa:
“aria, risate e sgridate ai ragazzi, un giro di basket e uno in bici, ho buttato giù queste poesie storte come un oki al momento giusto. Ah, e se leggi e non ridi, io non c’entro, è colpa tua che non hai senso dell’humor”.
Il suggerimento a coltivare una visione della vita condita di umorismo è sempre valida, tanto più valida adesso. Il riso unisce, cancella la solitudine, crea una comunicazione istantanea attraverso una battuta e/o una situazione spiazzante che ridimensiona la portata tragica dell’esistenza.
Molto è stato scritto in materia, i saggi di Pirandello hanno fatto scuola; in essi il grande maestro di teatro sottolinea la componente di pietas e comprensione umana sempre presente nel genere. Infatti, la pastiglia di oki, un antinfiammatorio noto, unita al poetare, mostra la sorridente pietà con cui sono intrise le pagine spesso esilaranti. È pertinente citare Federico Fellini, immenso, che afferma:
“Dipende dal senso che si dà al comico. Comico nel senso della commedia, cioè del dramma comune, umano, umoristico, risibile, addirittura buffonesco, vissuto senza coturni ai piedi. Film che raccontano illusioni di personaggi smontati e smagati da una realtà imprevedibile.”
Ecco: la realtà imprevedibile. Con un senso di inconfondibile teatralità e con lo stesso significato di "imprevedibile", Cattonaro parla di poesie "storte", diventa "buffonesco" in senso felliniano. Esempio scherzoso che suscita "ridariola", in triestino "scoppio di riso", sono i versi:
“mi te gavevo dito / femo risi e bisi / ma ti no / teston de grota / te ga volù far jota./ E deso xe inutile che te me conti che te la vedi / garba per pranzo. / Bimbin.”
Note per foresti e regnicoli
femo=facciamo / te ga volù=hai voluto / teston de grota=testa dura come pietra / te la vedi garba=la vedi dura / bimbin=imbecille
La jota è una minestra tipica triestina contenente cavolo cappuccio in aceto.
Abbinare la scelta di cibo e il suo gradimento all’incontro/scontro dei caratteri
suscita certamente ilarità, dato che il cibo è uno dei piaceri della vita. Trasferire un quesito o un problema nel territorio del gustare, rende l’atmosfera giocosa. L’autore maneggia le metafore come un giocoliere e merita gli applausi che si tributano agli attori.
L’amore poi... niente di più serio, appassionato, forse anche litigioso, ma esaltante. Qui anche Eros indossa la maschera comica, ma conserva una grande dose di dolcezza necessaria per continuare a essere il dio che è:
“Te me acusi che sbando sempre in curva / ma mi no fazo una piega / perché so che la tua chioma fulva / i omini li strega / e ala fine / gnente mai e poi mai / poderà distrarme de ti / che te ga volù amarme.”
“mi accusi di sbandare sempre in curva / ma io non faccio una piega / perché so che i tuoi capelli rossi / stregano gli uomini / ed in fine / nulla mai e poi mai / potrà distrarmi da te / che hai voluto amarmi”.
Il quotidiano acquista nuova luce con un sorriso e ironia graffiante:
“Oh Rosetta / sei la mia Rosetta / per scampar de quela mumia de tu mare / semo svolai in Egitto / ché la boicotava el nostro amor /e galeoto fu el deserto / l’abiamo fato soto le stele / e deso te son piena / come la più splendida luna./ Ah, no xe mio?”
“oh Rosetta / sei la mia Rosetta /per fuggire da quella mummia di tua madre / siamo volati in Egitto /ché boicottava il nostro amore / e galeotto fu il deserto / l’abbiamo fatto sotto le stelle / e adesso sei gravida / come la più splendida luna. / ah, non è mio?”
La nostalgia per la terra perduta dagli avi richiede il tono elegiaco, uno struggimento:
“Oh Istria / sei la mia Istria / tera rossa / ulivi / piera grossa / declivi / malvasia canaglia / strugente nostalgia / quando naufrago ancora / nel tuo mar che abaglia / co son lontan de ti /el mio cuor se sbrega / mia Alfa e Omega”.
Sbrega= si spezza.
Il più profondo quesito filosofico ed esistenziale diventa un gioco di parole a doppio senso, in triestino “dio” è l’abbreviazione di “addio”, ovvero ciao:
Dio c’è! / Si bon, ciao. / ‘Ndemo dei.”
Note per foresti e regnicoli
dio=ciao / ‘ndemo dei=suvvia
Cattonaro spazia in molti registri narrativi, pensosi, giocosi e sa dosare gli ingredienti per ogni quadro narrativo.
In appendice un gustoso dialogo farsesco rende omaggio agli scrittori Svevo, Joyce, Slataper e Claudio Magris.
Possiamo leggere il libro al mare tra amici rispettando la distanza stabilita, vicini psichicamente e accumunati nel godere il lato frizzante delle parole, i paradossi che vanno a fondo, pur non prendendo di petto le situazioni. Il cabaret, e in particolare Cabareto di Luca Cattonaro, è spazio di libertà.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cabareto
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