Cape Fear di John MacDonald

Difficile togliersi dalla testa il luciferino Max Cady-De Niro del Cape Fear di Scorsese, ma mai come in questo caso risulta sterile tenere il computo delle differenze tra film e romanzo ispirativo ( Cape fear, di John Mac Donald, Mattioli 1885 traduzione di Nicola Manuppelli). Rilevo solo come il thriller scorsesiano sia più disturbante, malsano e il folle Max Cady che ne è il primo attore, nel libro resti invece una figura di sfondo, benché paurosa. Una dissonanza terrifica nell’impeccabile partitura familiare allestita da Sam Bowden: professione prestigiosa, tenore di vita elevato, moglie bella e devota, tre figlioletti a modo, l’incarnazione del familismo americano tutto sorrisi, denti bianchi e relazioni patinate, se mi spiego.
Sam Bowden fa l’avvocato è un uomo votato al rispetto delle leggi e al pensiero razionale (nel romanzo, non a caso, è il personaggio più dotato di spessore psicologico): quando dal suo passato riaffiora il perturbante sotto brutali spoglie del galeotto Cady, di primo acchito non sa che pesci prendere e non se ne da pace. Come se nubi temporalesche si fossero d’improvviso addensate sul suo mondo, apposta per minarlo dalle radici e e metterlo alla prova.

Sai di cosa si tratta, vero? È il dito del destino che fa il solletico al piccolo Sammny Bowden. Questo brav’uomo. Quest’uomo nobile e retto. Ah, com’è scivolato in basso! Ora si mette ad assumere assassini. Ma non possiamo rendergli la cosa facile. Perché il vecchio Sam deve rendersi bene conto di quanto sia precipitato dalla sua grazia perfetta. Dobbiamo farlo rotolare giù, lentamente. Dobbiamo impressionarlo, così non se lo dimenticherà.

L’ennesima declinazione dicotomica del sogno americano, con il nerboruto Cady a incarnarne l’espressione cancerosa: il paria che alza la voce e viene a reclamare il conto. In tempi alquanto lontani Bowden - all’epoca Bowden era tenente dell’esercito – lo ha denunciato per stupro, rovinandogli la vita. Uscito dal carcere, l’intento del pazzo lucido è quello di rendergli pan per focaccia e di farlo nella maniera più subdola, arrivando a colpirlo a partire dai suoi cari (prima gli uccide il cane, quindi spara al figlio). In due parole, questa è la trama di un thriller che anche sulla pagina conosce il fatto suo: ben scritto, articolato come si deve, con reiterati momenti di suspense, capace di insinuare sottotraccia il pensiero turbativo di ogni persona per bene: lo status quo poggiato su leggi e valori civili, è in realtà solo parvenza. Esiste, ab origine, una natura ferina che può emergere in ciascuno in maniera inattesa, ricondurci alle sanguinarie leggi del più forte.