“Capel bruno, alta fronte” è il famoso incipit del sonetto Ritratto di se stesso di Alessandro Manzoni, realizzato nel 1801 sulla scia dell’alfieriano Sublime specchio di veraci detti, che di fatto inaugura il genere letterario del componimento autodescrittivo, subito riecheggiato da altri autori.
Ne traggono ispirazione Ugo Foscolo (Autoritratto di Foscolo) e Manzoni, per l’appunto, che però al modello originario apportano sostanziali modifiche per meglio adattarlo alle proprie peculiarità caratteriali.
Il senso dell’ironia, l’ammissione di qualche debolezza e la totale assenza di qualsiasi compiacimento auto eroico distinguono il testo manzoniano dagli altri due.
Vediamo testo, parafrasi, le figure retoriche e l’analisi di Ritratto di se stesso che inizia proprio dal verso Capel bruno, alta fronte.
Ritratto di se stesso di Manzoni: testo del sonetto
Capel bruno, alta fronte, occhio loquace,
Naso non grande e non soverchio umile,
Tonda la gota e di color vivace,
Stretto labbro e vermiglio, e bocca esile;
Lingua or spedita, or tarda, e non mai vile,
Che il ver favella apertamente, o tace;Giovin d’anni e di senno, non audace;
Duro di modi, ma di cor gentile.
La gloria amo e le selve e il biondo Iddio1;
Spregio, non odio mai; m’attristo spesso;
Buono al buon, buono al tristo, a me sol rio.
A l’ira presto, e più presto al perdono;
Poco noto ad altrui, poco a me stesso:
Gli uomini e gli anni mi diran chi sono.
Ritratto di se stesso: parafrasi dell’autoritratto di Manzoni
Capelli scuri, fronte alta, sguardo espressivo, naso né troppo grande né troppo piccolo, viso rotondo con un bell’incarnato, labbra sottili e bocca piccola,
modo di parlare a volte veloce altre volte lento, ma mai ingiurioso, che se ha da dir quel che pensa lo dice, altrimenti sta zitto. Giovane sia di mente che di corpo, ma non audace, un po’ rude, ma buono d’animo.
Amo la gloria, la solitudine e la natura, e la poesia (del biondo dio Apollo), posso provare disprezzo ma mai odio, gentile con tutto il prossimo, esigente solo con me stesso.
Mi arrabbio facilmente, ma perdono subito, sono poco conosciuto agli altri come a me stesso: le persone che frequenterò e gli eventi che accadranno nel tempo mi aiuteranno a capire chi sono.
Ritratto di se stesso: spiegazione letterale del sonetto di Manzoni
Al sonetto autodescrittivo è affidato il compito di tracciare un ritratto dell’autore il più completo possibile, quindi sia fisico che caratteriale.
I confini tra l’aspetto esteriore e l’indole non sono mai nettamente marcati, mentre esiste una compenetrazione fra gli uni e gli altri e, di solito, i primi preludono ai secondi.
Ciò che colpisce maggiormente nell’autoritratto manzoniano è la profonda capacità di descriversi in versi nonostante la tenera età, sedici anni appena.
Nel 1801 Manzoni è un adolescente che padroneggia con incredibile disinvoltura le regole linguistiche e poetiche, evidente preludio dell’artista eccelso che diventerà in seguito (dalla sua bravura, come risulta da alcuni documenti, resta impressionato anche Foscolo, più grande di sette anni).
Il futuro autore de I Promessi Sposi si presenta come un piacente ragazzo moro, con un viso dai tratti regolari, di animo buono, sincero ma non sfacciato (dice ciò che pensa o tace), riservato, amante della solitudine e pertanto abbastanza introverso.
Non c’è audacia in lui, che non esita a menzionare la leggera balbuzie che lo affliggerà per tutta la vita (lingua or spedita or tarda).
La gloria, la natura e la poesia sono le sue grandi passioni e su questo appare deciso, mentre, afferma, né gli altri né lui stesso sanno ancora chi sia realmente.
Del resto quale adolescente lo sa?
Per quanto precoce e brillante, qui siamo di fronte all’autoritratto di un ragazzino che, per ovvi motivi anagrafici, si chiede ma non può ancora sapere che tipo di persona, uomo e artista diventerà.
A dirlo saranno le persone che incontrerà e le scelte che farà.
Occorre attendere che la vita faccia il suo corso.
Capel bruno, alta fronte: metrica e figure retoriche
Capel bruno, alta fronte è un sonetto con schema rimico ABAB BAAB CDC EDE.
Nel testo sono presenti le seguenti figure retoriche:
- chiasmi (tonda la gota e di color vivace al verso 3 e A l’ira presto e più presto al perdono verso 12
- litoti (naso non grande e non soverchio umile verso verso 2; non audace verso 7; lingua...non mai vile verso 5 e spregio, non odio mai verso 10)
- metonimia (buondo Iddio, ovvero Apollo, che simboleggia la poesia>)
- anafora (buono/buono verso 11)
- poliptoto (buono al buon verso 11).
Analisi del sonetto e differenze con gli autoritratti di Alfieri e Foscolo
I ragazzi sono sempre gli stessi fin dalla notte dei tempi, anche se sono poeti, scrittori, intellettuali e artisti tra i più grandi della Storia.
Nel 1801, quando Vittorio Alfieri pubblica Sublime specchio di veraci detti, che in realtà aveva scritto nel 1786, Foscolo e Manzoni hanno, rispettivamente, 22 e 16 anni.
I loro autoritratti nascono dall’intento, un po’ immaturo e irriverente, di gareggiare con l’ormai "vecchio" Alfieri.
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Poco più di un gioco letterario, insomma, che però svela molto delle doti dei precoci autori.
Che il modello sia quello alfieriano si nota già ad una prima lettura dei testi, dei quali però appaiono altrettanto evidenti fin da subito le differenze con l’originale di riferimento.
Esse sono dovute, essenzialmente, alle connotazioni personali che caratterizzano sia il sonetto di Foscolo, Solcata ho fronte, che quello di Manzoni, poiché entrambi i poeti, che di certo la stoffa degli imitatori pedissequi non l’hanno mai avuta, ne ricalcano sì lo schema, ma inserendovi elementi e tratti afferenti esclusivamente alle proprie relative individualità.
E infatti, al netto dei tratti comuni, le tre opere risultano completamente diverse l’una dall’altra.
L’ironia e l’anti eroismo del giovanissimo Manzoni
In Capel bruno, alta fronte di Manzoni, nello specifico, è del tutto assente il contegno eroico con cui, al contrario, si definiscono Alfieri e Foscolo, mentre una palpabile autoironia lo pervade, specialmente nel riferimento alla balbuzie.
Un piccolo ma seccante disturbo che lo scrittore non omette, così come non prova imbarazzo nell’ammettere una certa ritrosia caratteriale (che si accentuerà negli anni) e la mitezza, decisamente in contrasto con il titanismo, la passionalità e l’ardore degli illustri colleghi.
Nel Ritratto di se stesso, siamo ancora lontani dal Manzoni maturo dei suoi capolavori e fa una certa tenerezza immaginarlo come un adolescente qualunque alla ricerca del proprio posto nella vita e nel mondo.
Ma per tutti, sedici anni sono solo sedici anni, anche se ci si chiama Alessandro Manzoni e così, se Alfieri e Foscolo chiudono il sonetto concentrandosi sulle complesse argomentazioni della morte e dell’eternità, il promettente ma ancora in erba poeta milanese ammette le tipiche insicurezze dell’età, che non gli consente ancora di avere di sé un’immagine e una percezione chiare e definitive.
Per averle, ammette, deve aspettare, crescere, fare esperienze, conoscere gente, vivere. Perché l’adolescenza è la stessa per tutti, in ogni luogo e in ogni tempo.
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