Cemento
- Autore: Thomas Bernhard
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2015
Thomas Bernhard, diffamatore dell’Austria, nemico giurato del mondo e profeta di turno della fine, ha scritto un nuovo libro [...]. Un monologo in cui ovviamente attacca Vienna, il Burgtheater, il cancelliere federale.
Questo è uno dei titoli con i quali la critica austriaca ha salutato l’uscita del romanzo Cemento (Edizione SE, 2015, traduzione Claudio Groff) nel 1982. Da sempre, qualsiasi scritto di Thomas Bernhard è stato un pugnale inflitto nell’idillica immagine dell’Austria: Paese benestante, ricco di bellissimi paesaggi, di aria pura, colto e sorgente artistica. Lui invece ha sempre voluto uccidere questo falso mito e denunciare la verità, o quanto meno, la sua verità: l’Austria è un Paese atroce, popolato da gente ipocrita e condotto da incompetenti pericolosi e senza scrupoli, di ideologia nazionalfascista che uccide i geni sin dalla nascita e nuoce in generale all’arte; infine, è un Paese dai paesaggi angoscianti, freddi, pieni di precipizi e che inducono al suicidio.
Cemento non è solo questo, scava nel sotterraneo dell’animo umano e porta alla luce le sue paure e contraddizioni, la sua imperfezione, la sua impossibilità di essere felice. Rudolf è il personaggio principale, scopriamo il suo nome solo nella frase finale del libro e si rivolge direttamente a chi lo legge, quindi Cemento è un libro scritto in prima persona come una sorta di diario-monologo. Rudolf, dopo una gestazione di dieci anni, vuole finalmente iniziare il suo lavoro letterario scrivendo un saggio sul compositore Mendelssohn Bartholdy. Però, essendo un maniaco della perfezione, non riesce a trovare la frase ideale per cominciare lo scritto e nella ricerca della condizione ideale per scrivere si ritrova ad auto-analizzarsi, auto-osservarsi, a prendersi pezzo per pezzo come un puzzle e cercare di ricostruirsi prima come “io” per poi poter finalmente ricostruire l’opera letteraria su Mendelsshon.
Duro compito, quello di ricostruirsi, quando i pezzi sono corrosi e gli incastri rotti; pian piano ci prova perché questa è l’unica via di salvezza, ma l’immagine che ne esce fuori è deformata, mostruosa proprio per queste rotture dettate dal tempo, dalla società, dalla propria indole caratteriale e da molto altro. L’esito di questo processo è drammatico: ciò che Rudolf sperava fosse un aiuto lo precipita ancor di più nel profondo della desolazione e della solitudine.
Rispetto ad altri libri di Bernhard, in cui predomina la sua voce tuonante, forte e ostile verso tutti e tutto, incluso verso sé stesso, in Cemento si avverte anche molta fragilità e, a tratti, tenerezza verso l’umanità. Bernhard condanna e odia gli altri, ma allo stesso tempo si mette in discussione: non sarà mica lui a essere davvero pazzo? Sente la solitudine pesargli addosso come un macigno di piombo che lo schiaccia tra le pareti della sua casa, della sua stanza, del suo loculo di pareti fredde, cemento.
Come siamo fragili, ho pensato, ci riempiamo tutti la bocca di paroloni e ci vantiamo quotidianamente e costantemente della nostra durezza e del nostro intelletto e da un momento all’altro ecco il voltafaccia e dobbiamo soffocare il pianto che sale dentro.
Maestro dell’esagerazione e della ricerca di perfezione, ha modellato in questa sua breve ma intensa opera l’immagine dell’intellettuale solitario, malato, depresso, incompreso e deriso da tutti, soprattutto dalla società, e il titolo della critica austriaca citato all’inizio lo dimostra pienamente.
“Ci dovrebbero essere solo uomini felici, esistono tutti i presupposti, ma ce ne sono solo di infelici. Questo lo comprendiamo troppo tardi. Finché siamo giovani e nulla ci fa soffrire, non solo crediamo alla vita eterna, ce l’abbiamo. Poi la frattura, poi il crollo, poi le lamentazioni attinenti e la fine.”
Cemento
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