Le edizioni Manni hanno avuto l’intelligente e spiritosa idea di raccogliere nel volumetto “Che dice la pioggerellina di marzo” le più famose poesie dei libri di scuola degli anni cinquanta, quelle che implacabili maestri e ligie professoresse imponevano di “mandare a mente” ai fanciulli e agli adolescenti dell’epoca post-bellica, oggi canuti sessantenni e più.
Si trattava di versi spesso e volentieri stucchevoli, retorici, enfatici, sentimentali, incentrati sull’esaltazione di valori familiari e patriottici tipici della propaganda fascista; versi che insistevano sul decoro, sul rispetto per il lavoro umile e onesto, per le tradizioni religiose e nazionali, per la natura incontaminata, e che frequentemente alludevano in maniera drammatica e colpevolizzante alla crudeltà della morte, all’ingiustizia della povertà, all’implacabile prevalere del male.
Ma, come suggerisce nella sua pungente e divertita prefazione Piero Dorfles, lo studio della rima martellante instillato nelle menti acerbe degli scolari poteva risultare
“una fondamentale ginnastica intellettuale”
oggi trascurata, e la necessità ribadita del dover essere studiosi, onesti, diligenti forse non produceva irreparabili danni, anzi poteva inconsapevolmente suscitare “qualche sano anticorpo” di ironia e spirito critico.
L’editore Piero Manni, nella sua premessa, riassume brevemente lo stato dell’istruzione italiana dalla riforma Gentile del 1923 all’introduzione del testo unico di Stato per tutte le scuole del 1930, che nei fatti negava qualsiasi libertà didattica, favorendo
“un ideale di immobilità e tradizionalismo nella struttura sociale del paese”.
Realtà pedagogica che rimase inalterata fino alla metà degli anni sessanta, contribuendo alla costruzione di un consenso popolare prono agli interessi di una classe dirigente conservatrice.
Questo volume, quindi, si propone non solo come un valido strumento di indagine storica e culturale, ma anche come un omaggio all’ingenuità non del tutto innocente di poeti e versificatori utilizzati didatticamente e politicamente.
Offro qui, a titolo di curiosità, una limitata rassegna dei versi più noti tra quelli antologizzati:
Foscolo: Né più mai toccherò le sacre sponde / ove il mio corpo fanciulletto giacque
Leopardi: La donzelletta vien dalla campagna / in sul calar del sole
Manzoni: Ei fu. Siccome immobile, / dato il mortal sospiro
Giusti: Vostra eccellenza, che mi sta in cagnesco / per que’ pochi scherzucci di dozzina
Pascoli: O cavallina, cavallina storna, / che portavi colui che non ritorna
Carducci: L’albero a cui tendevi / la pargoletta mano
Fusinato: Il morbo infuria, / il pan ci manca,/ sul ponte sventola / bandiera bianca!
Mercantini: Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!
Dall’Ongaro: Viva l’Italia! Viva il lavoro!
Bosi: Addio mia bella addio, / che l’armata se ne va
D’Annunzio: Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
De Amicis: mia madre ha sessant’anni, / e più la guardo e più mi sembra bella
Palazzeschi: Tre casettine / dai tetti aguzzi, / un verde praticello, / un esiguo ruscello: rio Bo
Novaro: Ci vuole così poco / a farsi voler bene, / una parola buona / detta quando conviene
Gozzano: “Consolati, Maria, del tuo pellegrinare! / Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei
Ungaretti: Ricorderai d’avermi atteso tanto, / e avrai negli occhi un rapido sospiro
Lina Schwarz: Stella, stellina, la notte s’avvicina, / la fiamma traballa, / la mucca è nella stalla
Moretti: Ero un fanciullo, andavo a scuola: e un giorno / dissi a me stesso: “Non ci voglio andare”
Zietta Liù: Un bacio a mamma, uno a nonnetta, / il bimbo allegro a scuola va...
Ecco, se figli adulti e giovani nipoti regalassero a genitori e nonni “Che dice la pioggerellina di marzo” con le sue attempate poesie, forse vedrebbero spuntare (tanto per rimanere in tema) furtive lagrimette e sorrisini nostalgici.
Che dice la pioggerellina di marzo. Le poesie dei libri di scuola degli anni Cinquanta
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