Ci manda San Gennaro
- Autore: Francesco Pinto
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: HarperCollins
- Anno di pubblicazione: 2021
Francesco Pinto è una colonna della televisione pubblica italiana, il dirigente salernitano che ha salvato dalla chiusura e rilanciato il Centro di produzione RAI di Napoli. Docente di sociologia della comunicazione nell’università partenopea Federico II, è anche autore apprezzato di romanzi seri e storici. Nell’opera narrativa più recente resta la storia, ma subentrano l’ironia, la leggerezza e qualche momento di divertimento: è Ci manda San Gennaro, pubblicata nel 2021 da HarperCollins Italia.
Dopo la laurea in filosofia, vinto un concorso per programmisti registi nel 1978, il ventiseienne Francesco ha messo piede nella TV di Stato proprio nel Centro di produzione napoletano. Tre anni più avanti è stato chiamato a Roma, alla direzione dei programmi sperimentali, per tornare a Napoli a metà anni ’90, prima come responsabile della programmazione poi come direttore della Cinecittà televisiva nei pressi dello stadio Maradona. Gli si devono le fortune di quegli studi a Fuorigrotta, in cui sono state realizzate serie di culto come La Squadra e vengono girate le puntate della fiction Un posto al sole, dal 1996 e i documentari di Alberto Angela in 4K.
Nel corso di un intervallo direttivo a capo di Rai 3 alla vigilia del 2000, ha lanciato format che i telespettatori ricordano certamente: Sfide, Report con Milena Gabanelli, Blu notte con Carlo Lucarelli, Novecento con Pippo Baudo. Ai più piccoli ha offerto la mitica Melevisione. Lasciata alla RAI per la meritata quiescenza, è tornato all’insegnamento universitario.
Premette che l’inizio e la fine della storia raccontata in questo romanzo sono veri, tutto il resto immaginario. E cita il verso che apriva le strisce del Signor Bonaventura di Sergio Tofano, “Qui comincia l’avventura...”, in un prologo all’insegna dell’ansia dei protagonisti.
Alcuni uomini depositano nottetempo tre pesanti casse in custodia ai frati della basilica romana di San Paolo fuori le mura. Sono sigillate con lo stemma vaticano, chiavi intrecciate e Triregno. Uno dei religiosi presenti accenna a una decisione giusta del Santo Padre, rivolgendosi all’alto prelato che ha guidato la consegna, mons. Montini, prosegretario di Stato di Pio XII durante la seconda guerra mondiale e pontefice a sua volta, dal 1963 al 1978.
Fin qui abbiamo parlato dei protagonisti del prologo. L’altra parte “vera” del romanzo, l’appendice, ricorda il patto stretto tra il popolo napoletano e il santo nel 1527. La vicenda narrata ha invece primattori immaginari, come tiene a precisare l’autore.
Va fissato il momento storico: siamo agli inizi del secondo dopoguerra, l’Italia è da poco una Repubblica, capo provvisorio dello Stato Enrico de Nicola, ma Napoli è una città ferita dalle rovine materiali e dai disastri morali e sociali provocati dal conflitto. Una convulsa metropoli del male e del malaffare, mostrata dai film neorealisti, Paisa, Sciuscià.
L’autore ha ipotizzato che nel corso delle ostilità la Santa Sede abbia provveduto a trasferire segretamente il tesoro di San Gennaro in un luogo riservato della capitale. L’anno dopo, nello studio del sindaco si discute del ritorno nella Cappella del Duomo, mentre in Piazza Municipio la folla è in tumulto. Pretende la restituzione del patrimonio del suo santo. La gente non ammette ragioni; “S’ha da ffa’ subbito!”. I napoletani esigono il rispetto del contratto stipulato nel 1527 dalla popolazione partenopea, personificata nella Deputazione che custodisce il tesoro. Il santo si è impegnato a proteggere città e popolo, in cambio di una degna dimora (nella Real Cappella) e doni che devono essergli elargiti negli anni, a conferma del patto. Sono quelli che hanno via via costituito i beni preziosi nascosti nella biblioteca della basilica romana.
“E che ci vuole!”, si vanno a prendere e si riportano al più presto a Napoli.
Ma non è così facile. Esercito e Carabinieri si rifiutano di effettuare il trasferimento: le strade non sono sicure, ci sono banditi dappertutto e quel tesoro vale una fortuna, fa gola a tutti. Per le forze dell’ordine è impossibile agire a quelle condizioni. Impensabile anche per il Comune, fortemente indebitato: servirebbero uomini, un mezzo corazzato, chissà quante automobili.
Il tesoro sta bene dove sta, ma la gente si agita e San Gennaro, quello se si offende che sta lontano, è capace di rompere il patto con Napoli. Ecco un esempio del tono brillante con cui Francesco Pinto conduce la narrazione.
Un altro? Fuori dall’ufficio del sindaco sta il re, che chiede di essere ricevuto. Ma Umberto di Savoia non è in esilio in Portogallo? Che ha fatto, un colpo di Stato ed è tornato? Ma no, o’ rre è Giuseppe Navarra, il boss della borsa nera a Poggioreale. Risolve problemi, aggiusta faccende, mette ordine. Insomma un camorrista. Sì, ma buono. Quarantanni, un po’ in sovrappeso: “Lo vado a prendere io il tesoro di San Gennaro”.
Il Vescovo ci sta, i Carabinieri no, ma la spedizione si farà. Con una scorta. Un uomo solo, il principe di Paliano, 83 anni, modi gentili, eleganza impeccabile, tutto stile e bastone da passeggio.
Due soli uomini per una missione delicata e uno è inaffidabile, l’Arma mette sulle loro tracce un ufficiale.
L’operazione San Gennaro sarà lunga, piena di imprevisti e divertente per i lettori, un po’ più impegnativa per i protagonisti, ça va sans dire.
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