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Cinema e consumi nelle riviste italiane. Dal dopoguerra agli anni settanta
- Autore: Fabio Andreazza ed Eleonora Sforzi (a cura di)
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2025
A partire dalla seconda metà del dopoguerra, il piano di occupazione merceologica diventa via via più pervasivo, attraverso mass media utilizzati come testa di ponte subliminale per alienare le coscienze di cittadini-consumatori. Prima dell’avvento televisivo, il cinema, o meglio ancora l’attrattiva divistica che il medium cinematografico esercita sull’immaginario collettivo, dapprima sui rotocalchi e quindi sulle riviste giovanili e femminili, viene impiegato come cavallo di troia per indurre desideri all’apparente portata dei lettori (in seguito spettatori).
Come riassume Irene Piazzoni in uno degli interventi contenuti nel saggio collettivo Cinema e consumi nelle riviste italiane. Dal dopoguerra agli anni settanta (a cura di Fabio Andreazza ed Eleonora Sforzi, Marsilio 2025):
Quello del rapporto tra consumi d’élite e consumi ‘di massa’ è un nodo cruciale. È con la nascita della moderna società dei consumi che in alcuni avamposti – Nord Europa, Inghilterra – si pongono le premesse della scoperta da parte del nascente ceto medio di quelli che sono stati definiti ‘the pleasures of imagination’, per cui modi, gusti e beni delle élite aristocratiche si fanno ‘imitabili’, o almeno immaginabili e desiderabili, a patto che si creino le condizioni per la loro visibilità, per la loro ‘messa in mostra’: al che provvedono i media, vale a dire la stampa e, dal primo Novecento, anche il cinema.
Attraverso la mediatizzazione del proprio status symbol, l’attore o l’attrice di successo diventa, insomma, garante e diffusore della crescente merceocrazia. Negli anni del cosiddetto boom economico, al netto della pubblicità occulta deducibile da una marca di liquore o da un pacchetto di sigarette finiti nell’inquadratura (si usava a quel tempo, nei film si beveva e si fumava come turchi), la diva mondana, immortalata in un locale di lusso, sollecita nel lettore riflessi pabloviani: di rinforzo (posso permettermi di frequentare locali esclusivi, per cui appartengo alla categoria sociale dei vip) o ammirativi-imitativi (tipici del consumatore non abbiente, candidato alle rateizzazioni ad aeternum). Chi fra i comuni mortali (maschi) non ha desiderato vivere, fosse soltanto un giorno, “alla James Bond”? (auto di lusso, abitazioni di lusso, donne di lusso, vita di lusso), e chi fra le casalinghe - allorché Carosello popolarizza la merceologia televisiva - di risolvere i problemi di pulito grazie al Bio Presto dell’uomo in ammollo interpretato da Franco Cerri (musicista)?
Il libro curato da Fabio Andreazza ed Eleonora Sforzi è quasi del tutto concentrato sulle riviste italiane che, prima di lasciare il passo alle seduzioni televisive, danno la stura alla propagazione del divismo e con esso alla diffusione pubblicitaria delle merci. Di particolare interesse politico risultano gli interventi di Gianluca Della Maggiore (Uomini réclame e divi santi, culture del consumo e nuove forme di culto nelle riviste cattoliche, pp. 123-144) e Marco Zilioli (Cinema, televisione, consumi e pubblicità. Le riviste comuniste “Noi donne” e “Vie Nuove” tra anni cinquanta e settanta, pp. 145-159), riferiti ai dibattimenti ideologici delle riviste cattoliche e comuniste, scisse tra il rigorismo anticonsumista dei trascorsi e un presente di spettacolarizzazione della realtà in funzione del consumo. Per cui se nel 1935 “L’Osservatore Romano” propone una raffinata analisi biotipologica centrata sull’influenza esercitata da Greta Garbo e Rodolfo Valentino nell’indirizzare i canoni estetici degli spettatori/lettori, dall’altro - nel 1951 - “Noi donne” intervista Sylvia Koscina che, fuori dal set, dichiara prediligere abiti comuni, e immortala ai fornelli Gina Lollobrigida, nella fattispecie simulacro della donna “angelo del focolare” ancora in voga nel periodo.
Come sostiene Fabio Andreazza nella sua introduzione al volume:
Il cinema entra in gioco soprattutto per mezzo di attrici e attori, ritratti in occasioni mondane [...] durante lo shopping, le vacanze o nell’intimità delle loro case. Questa rappresentazione di stili di vita si accompagna alla promozione diretta o indiretta di beni materiali e simbolici, per ottenere i quali è necessario raggiungere un certo status socio-economico: un aspetto nodale dei rotocalchi di attualità.
Con l’affermarsi parallelo del ceto medio e del medium televisivo, l’influenza degli attori perderà sempre più terreno, rimpiazzata dall’influsso e dall’appetibilità pubblicitaria dei big della tv o della canzone, capostipiti nel complesso ancora innocenti dei navigati testimonial di oggi.
Cinema e consumi nelle riviste italiane è dunque un saggio storico-sociologico di buona presa e ottima caratura. Lo è perché i focus attraverso cui parcellizza l’analisi restituiscono minutamente la trasformazione dei costumi al pari dell’affermarsi dei prodotti commerciali; lo è perché richiama, altresì, un po’ del nostro tempo migliore, attraverso le pagine (pubblicitarie) di rotocalchi e riviste che hanno concorso alla storia dell’editoria popolare (e non soltanto) e che non hanno retto all’ignavia del tempo (“L’Europeo”, “Annabella”, “Vie Nuove”, “Oggi”, “Radiocorriere tv” fra le tante). Gli estensori degli articoli sono quasi tutti di estrazione accademica, doveroso se non altro menzionarli uno a uno, e in strettissimo ordine alfabetico: Fabio Andreazza, Luca Barra, Mattia Cinquegrani, Gianluca Della Maggiore, Gabriele Landrini, Silvia Magistrali, Maria Antonella Pelizzari, Irene Piazzoni, Emiliano Rossi, Eleonora Sforzi, Marco Zilioli.
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