Cola di Rienzo
- Autore: Claudio Fracassi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2017
Quante Piazza Loreto nella storia d’Italia. A Roma, quasi seicento anni prima del duce, un altro signore delle masse venne linciato da una folla. Il cadavere scempiato restò esposto tre giorni alla crudeltà delle offese. È merito di Claudio Fracassi, giornalista e direttore di testate di sinistra, aver ripreso una vicenda dimenticata ma emblematica, di vertiginosa ascesa e rovinosa caduta pubblica. “Cola di Rienzo. Roma 1347. La folle vita del rivoluzionario che inventò l’Italia” è il titolo del saggio pubblicato nel 2017 da Mursia, 304 pagine 21 euro.
Non c’è grande distanza dal Campidoglio, da dove dominava l’Urbe, al balcone di via del Corso al quale venne appeso dal popolo furioso, aizzato dalle famiglie nobili, che aveva contrastato per tutta la vita. Cola si era impegnato contro le caste, nel progetto di unire le popolazioni d’Italia. Non a caso, si era attribuito il titolo di tribuno del popolo, in disuso da secoli, da Tiberio Gracco, ucciso a bastonate sullo stesso Campidoglio, nel 133 a. C.
Sotto il potere di Cola, Roma visse un momento di rinascita e libertà, mentre i papi si mantenevano lontani, nell’esilio avignonese. Un risorgimento che rimase incompiuto: rovesciato il tribuno, tutte le riforme politiche e sociali vennero annullate e sulla figura di Cola calò un silenzio che finì per cancellare ogni memoria storica del riformatore.
Eppure, Francesco Petrarca aveva salutato con favore l’impegno del giovane romano, intelligente e di bell’aspetto, dotato di un carisma che gli consentì di conquistare il potere a Roma senza colpo ferire e rinnovare la vita cittadina e le leggi, contrastando gli abusi delle più potenti famiglie capitoline.
All’estero, in seguito, trovò estimatori della sua modernità (Wagner gli dedicò un melodramma lirico nell’800), ma non in Italia, nemmeno tra gli affiliati alla Massoneria, che pure governarono la capitale dopo l’unità d’Italia. Unica concessione, il monumento dedicatogli nel 1887 ai piedi del colle capitolino, nel punto dove venne massacrato.
Nicola di Lorenzo Gabbini, figlio di un oste e di una lavandaia, da popolano era diventato notaio, per qualità innate. Una rivolta popolare lo condusse al potere cittadino nel 1347, a 34 anni. Scelse, come detto, il titolo antico di tribuno della plebe. Era un portavoce del popolo, un antenato dei pentastellati, che dovrebbero riflettere sul destino dell’oratore e dell’uomo, del riformatore e del demagogo. Una parabola già incontrata nella storia, prima e dopo Cola di Rienzo.
In poco tempo, aveva rivoluzionato Roma, abolito antichi privilegi, scardinato l’arbitrio dei potenti, ridimensionato gli eccessi delle casate patrizie, ripristinato leggi liberali, introdotto statuti “repubblicani” nell’ordinamento e nell’economia. E tutto a Papa lontano, ad Avignone.
Ma il suo operato non poteva andare a genio alla Chiesa, sebbene le ostilità fossero unilaterali, dal momento che Cola non ebbe mai a schierarsi apertamente contro la casta religiosa.
Il proposito di creare una nuova formazione geografica e culturale chiamata Italia, come scrisse Petrarca, spaventò nemici potenti (papato, impero, aristocrazia), che lo isolarono. Provvedimenti impopolari gli alienarono poi gran parte della popolazione, favorendo le trame degli avversari. Aveva imposto tasse perfino sul vino e su altri generi di largo consumo, per pagare i soldati di ventura che si battevano contro le truppe assoldate dai patrizi.
La mattina dell’8 ottobre 1354, al grido “popolo, popolo”, gli abitanti dei rioni controllati dai Colonna, Savelli e altri baroni, si affollarono sotto il Campidoglio. La cronaca di un testimone degli eventi di metà 1300 è molto efficace nella ricostruzione degli ultimi momenti di Cola di Rienzo e impietosa nel dettaglio di particolari efferati. Firmata da un Anonimo Romano, è scritta in italiano “volgare”, elegantemente contaminato dal dialetto romanesco.
Il tribuno, assediato nel palazzo sul colle e abbandonato dai suoi armati, è diviso tra l’affrontare una morte onorevole con le armi in pugno o tentare la fuga. Sceglie la seconda opzione. Spogliatosi delle insegne del potere, tagliata la barba, annerito il viso con la cenere, si copre con un mantello e ha l’ardire di mescolarsi alla folla. Camuffato, incita chi gli è vicino ad assalire il traditore nella cancelleria incendiata. È quasi in salvo, ma viene riconosciuto.
Lo conducono in basso, nel luogo dove venivano eseguite le sentenze e si svolgevano le esecuzioni. Per un’ora rimase fisso a guardare tutti, in silenzio. Il primo a colpirlo fu Cecco del Vecchio, molti altri infierirono. Il corpo venne trascinato fino alla chiesa di San Marcello al Corso. Lì venne appeso per i piedi a un balcone. Non aveva più la testa, le ossa del cranio erano sparse per strada.
Tante ferute avea, parea criviello (setaccio)… quello cuorpo fu arzo e fu redutto in polve; non ne rimase cica (briciola) questo fine abbe Cola de Rienzi, lo quale vorze essere campione de Romani.
Cola di Rienzo. Roma, 1347: La folle vita del rivoluzionario che inventò l’Italia
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