Controluce. Alberto Burri, una vita d’artista
- Autore: Alessandra Oddi Baglioni
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Donzelli
- Anno di pubblicazione: 2015
“Controluce. Alberto Burri, una vita d’artista” (Donzelli, 2015) è un libro insolito, un biografia ma non proprio, un racconto affettuoso da parte di Alessandra Oddi Baglioni, una scrittrice umbra che è legatissima alla sua terra e ha scelto di parlare del suo illustre conterraneo, l’artista Alberto Burri, uno dei maggiori artisti del 900 italiano, schivo, riservato, poco incline a concedere interviste, al partecipare agli eventi pubblici, fossero pure momenti fondamentali per la sua carriera, come la cerimonia d’inaugurazione della Fondazione sorta per sua volontà nel 1978 a Città di Castello, la sua città natale. Malgrado la presenza di importanti autorità, Burri non c’era.
Ma vediamo la struttura del libro che Alessandra Oddi Baglioni ha dedicato a Burri e alla sua vicenda biografica, ricchissima di incontri, di amicizie, di donne, di artisti, di viaggi, di grandi successi internazionali vissuti sempre con un singolare understatement, che testimoniano la sua grande intelligenza di uomo e di artista.
Siamo a Città di Castello, in un freddo pomeriggio del dicembre 2000: una donna dall’età indefinibile, dalla bellezza un po’ sciupata, come la lunga pelliccia di volpe che l’avvolge, entra nella Galleria d’arte aperta oltre venticinque anni prima da Giovanni, stupita di trovare nella cittadina che mostra di aver ben conosciuto in passato opere di importanti artisti contemporanei, ma anche un piccolissimo quadro grande quanto un francobollo.
Lo troviamo riprodotto in fotografia nel libro, è un quadro che il gallerista amico Giovanni ebbe da Alberto Burri quasi per scommessa.
Da qui parte il dialogo fra i due personaggi, quello vero e quello di fantasia, Giovanni e Lady Diane Rilagh, una inglese appassionata d’arte che aveva conosciuto Burri appena ventenne e ne era stata a lungo assistente,consigliera, appassionata ammiratrice. Un pretesto narrativo, le immaginarie lettere fra i due, scelto dall’autrice per entrare nella vita privata, nelle vicende più intime e meno note dell’artista umbro, capaci di metterne in risalto le qualità umane, le contraddizioni, le passioni, gli umori, i cambiamenti di stile, le diverse inclinazioni.
Alberto Burri era nato nel 1915, lo ricorda il libro nel centenario della nascita. Volontario in Africa durante le guerre di regime, nel 1940 si laurea in medicina; richiamato come ufficiale medico nella guerra appena scoppiata, viene fatto prigioniero e trasferito dagli Americani in un campo di prigionia in Texas, nel deserto. Con lui ci sono scrittori (Giuseppe Berto) e pittori ( Dino Gambetti,Alberto Fagan). Per vincere noia e inattività cominciano a dipingere, e il tenente James Jasper che dirige il campo li incoraggia procurando tele e pennelli.
Dopo la liberazione il rimpatrio: sbarcato a Napoli, Burri si accorge che l’America “era la ricchezza, la salvezza ma anche la corruzione”: giovani e giovanissimi si vendevano per un sacco di iuta dell’esercito americano pieno di generi alimentari. L’ultimo tentativo di fare il medico per le popolazioni affamate dei bassi napoletani fallì, e Burri parte per Roma deciso a seguire la sua vera vocazione, dipingere.
Siamo a Roma nel 1950, la ricerca sperimentale di Burri sta procedendo: mentre Roberto Rossellini gira “Francesco Giullare di Dio”, comincia a lavorare sulla iuta, i celebri sacchi che esaltavano la povertà, esprimevano la ribellione nei confronti del paternalismo del Piano Marshall, e quindi la
“iuta divenne il simbolo del paese degli sciuscià che rialzava la testa”
Sono gli anni di amicizie romane, delle serate in casa di un ancora poco conosciuto musicista pugliese, Domenico Modugno, subito convinto della novità dell’arte di Burri di cui compra un Grande Sacco.
Burri espone due quadri alla Biennale veneziana, dove incontra Lucio Fontana e ritrova il tenente Jasper, che lo invita a tornare negli Stati Uniti: lì viene organizzata la sua prima mostra americana, a Chicago, e lì conosce il famoso critico Sweeney, direttore della Guggenheim, che capisce immediatamente di trovarsi di fronte ad un grande artista, colpito soprattutto del Nero 1, che definisce
“uno spartiacque nell’arte del dopoguerra”
Da questo momento in avanti, Alberto Burri viaggia continuamente tra l’Europa e l’America. A Parigi incontra Picasso, a Roma firma il Manifesto di Origine, con Ettore Colla, Mario Ballocco e Giuseppe Caporossi, ancora a Roma Sweeney gli presenta la coreografa e danzatrice allieva di Martha Graham, la sottile ed intensa Minsa Craig. Lei sarà sua moglie, e con alterne vicende, con alti e molti bassi, i due resteranno insieme malgrado il carattere inconciliabile, i gusti opposti, ma uniti da un legame tenace che li terrà vicini soprattutto alla fine della vita di Burri.
Il libro di Alessandra Oddi Baglioni è una miniera di incontri, aneddoti, memorie che ci raccontano molto della vita artistica di Roma, dove Burri visse a lungo, ma anche dell’amatissima Umbria, dove l’artista stabilì la sua residenza dopo aver comprato una casa a Casenove, un borgo su un colle impervio, raggiungibile prevalentemente con una jeep. In questo amato buen retiro, ha luogo uno degli episodi più divertenti raccontati nel libro: la visita dell’Avvocato, Giovanni Agnelli in persona che decise di visitare l’artista per comprare uno dei celebri Sacchi; atterrato con l’elicottero al campo sportivo del paese, incerto nel cammino, l’Avvocato non si ferma di fronte al difficile percorso, e finisce per parlare con Burri di calcio, appassionati l’uno del Perugia, l’altro proprietario della Juventus, bevendo caffè corretto al Mistrà, parlando in dialetto
“Attento, questa è casa di povera gente, i gradini so’ erti”
e dandosi appuntamento per una battuta di caccia, di cui sono appassioanati entrambi.
In effetti Alberto Burri riusciva a vivere in sintonia con i suoi conterranei, tifoso sfegatato della squadra che seguiva anche in trasferta, condividendo pranzi, partite al biliardo, bevute, serate davanti alla televisione a vedere la serie Bonanza, di cui era un grande ammiratore.
Nella vita di Alberto Burri ci fu una donna importante almeno quanto la moglie, Carla Basagni, che sulle orme del pittore, che era un grande appassionato di fotografia , divenne presto una fotografa più brava del maestro. Le più belle foto riprodotte nel libro sono quelle che vedono Carla durante il loro avventuroso viaggio on the road, in macchina, tra Nevada, California, Las Vegas, lei con la macchina fotografica in mano. Poi il rapporto bellissimo e intenso fra i due si dovette interrompere, perché Minsa minacciò il divorzio e l’appropriazione di metà delle opere di Burri che erano nella loro casa di Los Angeles, sulla collina di Hollywood: sembrava più innamorata dei suoi quadri che di lui, temeva Burri.
Poi però ci furono i rapporti d’amicizia e di stima con i più importanti nomi della cultura artistica italiana del dopoguerra: Cesare Brandi, Giulio Carlo Argan , Irene Brin, Palma Bucarelli, il Soprintendente napoletano Raffaello Causa, il gallerista Lucio Amelio, Bruno Mantura, Renato Guttuso. Con lui ci fu un po’ di rivalità, quando il suo amico Cesare Brandi lo aveva definito il più grande pittore d’Italia, e Burri se ne era piccato e aveva risposto con sarcasmo “ha detto pittore, non artista”.
Anche gli scrittori compaiono nella vita dell’artista: Giuseppe Ungaretti, che lo aveva paragonato a Picasso, Rosetta Loy, vicina di casa a Grottarossa, dove sorse l’ultimo enorme studio dell’artista, Marguerite Yourcenar, il cui celebre romanzo “L’Opera al nero” gli fa affermare
“Sono affascinato dall’alchimia, dai movimenti esoterici in cui si illustra il procedimento di separazione e dissoluzione della materia nelle sue componenti. Il nero mi affascina, il nero popolato dalla mia strega, la mia strega che danza nella notte”
Poi imprevedibilmente compaiono personaggi del mondo della canzone, Iva Zanicchi, di cui Burri con voce da baritono canta “La mia solitudine”, o Ornella Vanoni, decisa a comprare un Burri;
Vicino alla cuoca di famiglia Adelina, agli amici di una vita Mancini, Volpi, Fortuni, Garinei, Nemo, compaiono nella vita ricca di Alberto Burri i nomi dei più grandi artisti del tempo, Rauschenberg, Twombly, Joseph Beuys.
Nel libro l’autrice fa riferimento anche a due momenti pubblici fondamentali nella vita di Burri: la sua presenza a Gibellina, la cittadina siciliana distrutta dal terremoto nel 1968; dopo molte resistenze l’artista umbro accettò l’invito del sindaco Corrao: aveva visto negli occhi della povera gente che seguiva la processione invocando la Madonna il desiderio di ritornare nel proprio paese distrutto. E una sottoscrizione internazionale, permise a Burri di costruire il suo enorme cretto sopra le rovine del paese distrutto, quasi a voler ricoprire lo scempio della natura.
E il denaro ottenuto da un premio conferitogli dall’Accademia dei Lincei, che lui investì nel restauro di un affresco di Luca Signorelli contenuto in una piccola chiesa di Morra, non lontano dalla sua casa, fu un altro silenzioso atto simbolico dal forte significato etico.
Umbria e Stati Uniti: un ponte tra il vecchio continente, con le sue miniere di arte e tradizioni culturali, le sue radici, e il sogno americano di rinascita e progresso degli anni cinquanta e sessanta. Questo uomo dai gusti semplici, dalla parlata dialettale che nel testo spesso riecheggia, riprodotta efficacemente dall’autrice, è stato forse il più grande artista del nostro 900, poco attento alla politica, libero, ma non per questo meno rivoluzionario nella capacità di scardinare i canoni artistici tradizionali introducendo quelle materie del quotidiano, i sacchi, il legno, il ferro, le plastiche, che fecero gridare allo scandalo, suscitando addirittura una interrogazione parlamentare del senatore del PCI Terracini nel 1959.
Anni dopo, nel 1976, quando la fama di Burri era ormai consolidata nel mondo intero, una grande mostra alla Galleria nazionale d’Arte Moderna curata da Mantura, lo vide partecipare con 32 opere, non una di più, raccolse una successo universale, presente all’inaugurazione la Roma che contava, compreso il presidente del Consiglio Spadolini, ma lui non c’era. Aveva preferito brindare in compagnia di una signora, lontano dalla mondanità.
A Beaulieu – sur – Mer , vicino Nizza, Alberto Burri trascorre gli ultimi mesi della sua vita, pallido, sofferente; vicino a lui la sottile Minsa; insignito dai Francesi della Legion d’Honneur, da Ciampi di cavaliere di Gran Croce della Repubblica, guarda il mar Mediterraneo davanti a sé, legge Pound, Ungaretti e Schopenauer ma gli mancano pochi giorni di vita, che sceglie di vivere in solitudine.
Riposa a Città di Castello, portato da Nizza in una bara a cui era stata staccata la croce.
Questo racconto intimo della vita di un personaggio pubblico sembra inaugurare un nuovo genere letterario, quello di un libro che sembra un romanzo, con molti dialoghi, con molti documenti ma anche molte invenzioni. Ma spesso la fantasia e il sogno ci aiutano più della storia ad avvicinarci a uomini grandi, che non sempre hanno accettato di raccontarsi con sincerità.
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