Cultura di massa e società italiana 1936-1954
- Autore: David Forgacs e Stephen Gundle
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2007
Studio spiccatamente interdisciplinare che intreccia la prospettiva storica con la ricerca sociologica e l’antropologia, Cultura di massa e società italiana 1936-1954 (Il Mulino, 2007) è un saggio di ampio respiro che indaga la produzione e la fruizione di oggetti e testi culturali, nel ventennio che va dall’affermazione del Regime all’inizio della guerra fredda.
L’arco temporale oggetto dell’analisi viene individuato grazie ad alcune coordinate fondamentali che David Forgacs e Stephen Gundle (docenti nelle università di Oxford e Cambridge al momento della realizzazione dell’indagine) ritengono imprescindibili: il 1936 viene considerato una data chiave perché è l’anno di nascita del Ministero della Cultura Popolare, l’organo attraverso cui il regime fascista inizierà ad intervenire attivamente sulle nascenti industrie culturali del cinema, dell’editoria e della radio. Parimenti il 1954, con l’avvento della televisione, segna al contempo la fine di un’epoca della cultura di massa mentre, sul piano istituzionale, la morte di De Gasperi chiude definitivamente la fase costituente in cui la DC si era imposta come forza di governo.
Più degli specifici eventi che fanno da argine temporale è, però, la tesi fondamentale del libro a imporre questo specifico periodo storico come oggetto d’analisi: quel che gli autori hanno voluto dimostrare, attraverso un’indagine di storia della cultura è che tra il Regime Fascista, la seconda guerra mondiale, l’occupazione, la Resistenza, la liberazione e l’Assemblea Costituente, non sussista una netta discontinuità quanto piuttosto
“l’esistenza di sostanziali continuità tra le attività delle industrie culturali da un lato – i tipi di prodotto che vendevano, il loro approccio ai mercati, i loro rapporti con i governi – e il consumo culturale dall’altro”.
Proprio perché l’oggetto d’analisi è costituito dall’attività e dalle scelte delle industrie culturali e dalle modalità di consumo dei prodotti realizzati da esse per la parte più consistente della popolazione, vengono quasi totalmente esclusi dall’indagine gli oggetti culturali veri e propri come, ad esempio, i testi delle canzoni, i temi dei libri pubblicati o le vicende dei film.
Ciò è ben comprensibile anche dalla metodologia con la quale la ricerca è realizzata: viene, infatti, messa da parte l’analisi testuale per lasciare il posto alla storia orale. Gran parte delle tesi sostenute nel testo sono il frutto di un’indagine sociologica, una ricerca di carattere qualitativo che ha richiesto la realizzazione di un gran numero di interviste a un gran numero di italiani che nel periodo compreso tra il 1936 e il 1954 era adolescenti o giovani.
Tale metodologia è ben visibile nella prima delle tre parti del testo, quella di gran lunga più interessante, dedicata al consumo culturale e alla vita quotidiana proprio per i molteplici stralci di interviste riportati:
“E poi allora ballavamo tutti. Le macerie, diciamo così, i bombardamenti che hanno buttato giù molte cose, davanti a noi era tutto una maceria (…) E di lì a poco sono cominciati poi a nascere questi locali diciamo danzanti. Direi però che i primi locali danzanti che sono nati, che io ricordi bene, chiamiamoli popolari, sono nati nei circoli, specialmente nei circoli comunisti, e dove noi abbiamo imparato a ballare”.
Nelle altre due parti del testo, dedicate alle nascenti industrie culturali e all’uso che la politica ha fatto della cultura di massa, il testo assume un andamento più didascalico, pur riservando al lettore contemporaneo spunti di riflessione inaspettati.
Riguardo alla crescente importanza della moda nel dopoguerra viene notato, ad esempio, che un settimanale di fotoromanzi come
“«Grand Hotel» esercitava una forte influenza, al pari della vista di beni desiderabili nelle vetrine o su altre riviste”
Di Mondadori, nelle pagine dedicate all’editoria, viene evidenziata la sudditanza al fascismo, di cui stampava molto materiale propagandistico e, poi, il sostanziale appoggio alla politica liberale statunitense, con la diffusione di un autore come Hemingway ma anche con il tentativo, non riuscito di farsi procuratore della Disney in Europa.
Nel capitolo sull’industria cinematografica, invece, vengono descritte le influenze del cinema hollywoodiano quanto la sua penetrazioni attraverso leggi protezionistiche che, varate dal fascismo, vennero velatamente ricalcate anche da Andreotti nell’immediato dopoguerra. Ampio spazio è riservato anche alla parabola del Neorealismo, prima osteggiato dal regime e, poi, pienamente affermatosi nel dopoguerra, quando le star del cinema, ma anche dello sport, servirono anche per cementare la narrazione repubblicana:
“Anna Magnani divenne un simbolo nazionale, il simbolo di un’Italia che emergeva dalla guerra e che guardava con fiducia alla ricostruzione”
Anche riguardo alla propaganda e alla censura, infine, specie nell’utilizzo che il Regime ne fece, Cultura di massa e società italiana 1936-1954 arriva a delle conclusioni inedite, dal momento che, contrastando una tesi strumentale che le interpreta come propagini del potere fascista, viene mostrato come
la propaganda (…) fu sempre una parte specifica e circoscritta della totalità delle attività dello stato nella sfera culturale, e la censura, sebbene notoriamente rigida in alcuni casi, operò sempre in sintonia con le altre forme di intervento quali misure di supporto economico selettivo e di protezione del mercato interno”.
Cultura di massa e società italiana. 1936-1954. Ediz. illustrata
Amazon.it: 23,75 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cultura di massa e società italiana 1936-1954
Lascia il tuo commento