Pier Paolo Pasolini si identifica con Narciso e con una fulminea metafora indica il conflitto tra eros e Thanatos.
Suite furlana, che risale agli anni 1944-1949, è la seconda sezione dell’opera La meglio gioventù. Tra le poesie che vi figurano ricordiamo le tre parti della Dansa di Narcís.
La prima di esse, dal titolo Dansa di Narcís, è un testo breve e di pochi versi che vale la pena di trascrivere.
“Dansa di Narcís”: testo e traduzione
Jo i soj neri di amòur né frui né rosignòul dut intèir coma un flòur i brami senza sen. Soj levat ienfra li violis intant ch’a sclariva, ciàntant un ciant dismintiàt ta la not vualìva. Mi son dit: “Narcìs!” e un sprit cu ‘l me vis al scuriva la erba cu ‘l clar dai so ris.
Io son nero di amore, né fanciullo né usignolo tutto intero come un fiore, desidero senza desiderio. Mi sono alzato tra le viole mentre albeggiava, cantando un canto dimenticato nella notte uguale. Mi son detto: “Narciso!” e uno spirito col mio viso
oscurava l’erba al chiarore dei suoi ricci.
“Dansa di Narcís”: analisi e commento della poesia
Cominciamo col dire che l’intento sostanziale è l’auto-riconoscimento, limitando l’identikit a poche battute folgoranti che provocano riflessioni esistenziali tanto da dare all’insieme un procedere fisiognomico sviluppato nelle più svariate implicazioni. L’io poetico, osservandosi, si descrive nero di amore, né fanciullo e non ancora usignolo: si potrebbe dire in una condizione liminale, non colpito dalle infallibili frecce di eros. Non c’è apertura verso l’esterno dato che il mitico personaggio interrompe il flusso del divenire, causando una mortifera stasi. Thanatos, abbastanza crudele, è la negazione dell’energia vitale; col suo nero mantello beve il sangue delle vittime ed è la personificazione della morte. Al contrario, Eros, generato dal Caos come “il più bello fra gli dèi immortali” è un’attrazione cosmica che assicura la coesione e anche la riproduzione delle specie.
Essere “nero d’amore” equivale ad abitare un mondo senza anima e senza intimità.
È come vivere un desiderio astratto che non appare, a dirla con Hillman, nella scena erotica delle qualità sensibili presenti nelle forme e nei ritmi. Sicché, il poeta, dichiarando. Ed ecco apparire il suo doppio: uno spirito col suo viso.
L’unico amore sperimentato da Narciso è quello verso se stesso; smarrita l’estetica della relazione con l’Altro, inevitabilmente consegue la perdita di energia espressa dall’immagine dell’oscuramento dell’erba. Siamo nella perdita del desiderio come libido. Sicché, l’identità si inabissa tra il regno di Ade e la numinosità di Narciso congiunto soltanto con se stesso.
L’opposizione oscurità-luce, che è in sostanza il motivo centrale della poesia, segna il trionfo dell’Amore nero, dove non scorre la fluidità della vita. Si potrebbe dire che Pasolini racconta con limpide e fresche immagini le ferite dovute alla privazione dell’incontro con l’alterità. Se l’amore è racchiuso e imprigionato in se stesso, allora viene negata ad Afrodite la possibilità di far sbocciare la bellezza. Quando si nega l’Amore, si è irretiti nelle pieghe della solitudine. Narciso, negandosi all’altro, è il simbolo della coscienza addormentata: oltre ad accogliere il vuoto e l’assenza d’amore, diviene portatore di paure e di angosce perché l’innamoramento di se stesso è una malattia che non fa germogliare la nerezza della terra.
Mancando il desiderio, Narciso perde le sue possibilità espansive: perciò, non può che andare incontro alla morte.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Dansa di Narcís” di Pasolini: una poesia sul buio della Psiche
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