Dilaga ovunque
- Autore: Vanni Santoni
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Laterza
- Anno di pubblicazione: 2023
Dopo la lettura dell’ultimo romanzo-saggio di Vanni Santoni, Dilaga ovunque, uscito per i tipi di Laterza e inserito nella cinquina finalista del Premio Campiello 2024, la prima associazione mentale è stata quella con un verso di un brano del cantautore Calcutta che recita così:
“Ho fatto una svastica in centro a Bologna, ma era solo per litigare”.
In queste poche parole infatti c’è un po’ l’essenza di alcuni degli elementi cardine del tema affrontato da Santoni nel libro, ovvero le origini e lo sviluppo della cosiddetta street art. Una scritta sul muro, una provocazione più o meno marcata, le città universitarie ricche di fermenti contro-culturali e subalterni, la voglia di scatenare una reazione nello spettatore, nel cittadino o nel politico di turno sempre pronto a innalzare barricate in nome dell’ideologia del decoro.
Attraverso le vicende di Cristiana, ex graffitara, outsider assorbita dalla triade mortale “gallerie – critici – collezionisti”, questo libro ripercorre le tappe principali dell’evoluzione dell’arte di strada suscitando riflessioni provocatorie e talvolta scomode su temi come la gestione dello spazio pubblico, la libertà d’espressione, il famigerato decoro urbano, e soprattutto la contraddizione fra museo e arte di strada o non ufficiale. L’uomo infatti ha da sempre scritto sui muri, fin dalle prime pitture rupestri delle grotte di Altamira, per citare uno dei tanti esempi proposti da Santoni, tuttavia se da un lato quello rappresenta un segno dello sviluppo della civiltà umana inserito nei libri di storia, d’altra parte oggi vi è spesso la percezione diffusa del graffito come manifestazione di in-civiltà e di attacco al decoro.
Un fenomeno, quello dell’arte di strada che è però dilagato dappertutto – perfetta qui la scelta del titolo del libro – e che in particolare a partire dagli anni Settanta ha iniziato a riempire le città moltiplicandosi progressivamente in stilemi e crew di vario tipo che hanno reso il movimento talmente fluido da renderlo difficilmente arginabile e inquadrabile.
Nato come movimento di disobbedienza civile, clandestino, espressione delle culture marginali delle grandi città americane e che vedeva nel “fare i treni” una delle sue massime espressioni artistiche, tuttavia anche l’arte di strada è andata incontro a quello che Edoardo Sanguineti, nel suo saggio Sopra l’avanguardia del 1963, definiva “doppio movimento dell’avanguardia” – ammesso sempre che si possa parlare naturalmente di street art come arte di avanguardia, se non altro per il suo carattere di rottura rispetto al canone ufficiale: infatti se agli albori l’espressione artistica di strada cercava, nel suo momento eroico-patetico, di affermare un prodotto innovativo, spiazzante, che uscisse dalle logiche del mercato ufficiale e che avesse consistenza soltanto in situ ovvero sulla strada o sulla parete, oggi purtroppo molte opere di artisti di strada sono entrate inevitabilmente, e forse alcune anche in modo cinico, nel circuito dei musei, del mercato ufficiale, raggiungendo quello status di visibilità e fruizione più ampio che garantisce introiti economici, sacrificandosi sull’altare del marketing. Un vero e proprio snaturamento, cui è difficile sfuggire e che, in nome del decoro, spesso ha portato a ribaltare l’essenza di questo movimento artistico, convertendolo in strumento in mano alle amministrazioni utile alla riqualificazione di spazi pubblici.
Così facendo però la street art ha perso quel suo carattere di movimento libero, disobbediente, clandestino che lottava per una più libera gestione dello spazio pubblico.
“Di fatto il decoro non ha nulla a che fare con la sicurezza, bensì col profitto: è un modello di governance del territorio volto a controllare lo spazio pubblico in un’ottica di massimizzazione delle rendite”.
Denuncia Santoni, alludendo anche ai fenomeni di gentrificazione per cui far decorare una parete a uno street artist spesso diventa un mezzo per aumentare le rendite degli appartamenti in certi quartieri di Berlino o di altre metropoli. Però:
“Alla fine non è street art se non è illegale, perché se non è illegale non è più una sfida alle strutture di potere e alle guerre di classe che vivono sottotraccia in ogni città”.
Cosa è rimasto dunque di autentico oggi nell’arte di strada? Rispetto alle origini, come si è evoluta la traiettoria artistica di questo movimento? C’è spazio per una convivenza fra gli artisti di strada e gli amministratori della cosa pubblica?
Santoni, sebbene scettico su alcune forme con cui si cerca di incanalare l’arte di strada nella logica della lotta al degrado, lascia però un messaggio di speranza; ri-esistere, r-esistere attraverso l’arte di strada è ancora possibile, scrivere sui muri è una forma di lotta collettiva ancora valida e che libera energie espressive vitali per la rivendicazione del diritto alla fruizione libera e pacifica dello spazio pubblico.
Non resta dunque che indossare una felpa, tirare su il cappuccio, prendere in mano il libro e avventurarsi fra le pagine di questo stimolante, provocatorio e interessante viaggio iniziatico che fra tag, graffiti, treni, stickers, throw up, murales, poster racconta uno dei fenomeni artistici più controversi, intricati, fluidi del mondo contemporaneo.
Ma nel momento in cui arrivano gli artistoidi in autopromozione, o i quartieri pagano i graffitari, trasformandoli in fornitori di arte pubblica su commissione – arte pubblica che se trasforma da degrado in decoro! Magia! –, o anche solo i muri liberi (sì, li vedo male, perché ner momento in cui crei una zona autorizzata per le arti, che sia n’muro legale o na’zona in cui può stà l’artista de strada a sonà, stai de fatto facilitando la repressione nei confronti di chi vuole sonà o dipinge altrove), insomma appena arriva tutta ‘sta roba, le cose cambiano e il discorso se deve fa più acuto, tagliente, netto. Tocca tornà a èsse pirati, ‘nsomma.
Dilaga ovunque
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